2016-01-15 12:06:00

Nunzio a Damasco: una vergogna usare fame e sete come arma di guerra


“Usare la fame, e io aggiungo la sete, come arma di guerra è un crimine, una vergogna, e mi meraviglio che i media internazionali ne parlino solo ora. Vi sono realtà in cui la gente da oltre un anno muore di fame, mentre alle porte di villaggi e città vi sono camion carichi di cibo, latte, medicine”. Non usa mezzi termini il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, per denunciare le gravissime violazioni che si sono perpetrate per troppo tempo in molte realtà di guerra in Siria. Località sotto assedio come Madaya (dove ieri è giunta la seconda carovana di aiuti), Foah e Kefraya; e ancora il campo profughi di Yarmouk, alle porte di Damasco, tutte realtà che costituiscono una vergogna per i media e la comunità internazionale. “Una situazione - avverte - che va risolta eliminando alla radice il conflitto”. 

Prestare attenzione alla questione umanitaria
Interpellato dall'agenzia AsiaNews il nunzio a Damasco esorta la stampa mondiale a “prestare maggiore attenzione alla questione umanitaria, un problema impellente che va risolto oggi”. Il presule ammette che vi possano essere “difficoltà”, ma “non vi sono scuse perché cibo e medicinali non mancano, i camion ci sono ma la gente muore lo stesso di fame”. 

E' un crimine usare la fame come arma di guerra
“Una soluzione politica al conflitto siriano - avverte mons. Zenari - si può trovare anche domani, fra un mese, ma i diritti umani riconosciuti a livello internazionale vanno garantiti e rispettati. Il problema umanitario, l’uso della fame come arma di guerra come ha sottolineato il Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, e io aggiungo anche l’uso della sete, sono un crimine, una vergogna”. 

La drammatica situazione nel campo profughi di Yarmouk
Riferendosi a Madaya, che in questi giorni ha guadagnato le prime pagine internazionali, il prelato si dice “meravigliato” che l’attenzione dei media “sia arrivata solo ora. Da mesi le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme nella zona - aggiunge - così come a soli 7 km dalla capitale continua a consumarsi la vergogna di Yarmouk”, una sorta di prigione a cielo aperto, un campo profughi in condizioni da tempo disperate. “Due settimane fa - spiega mons. Zenari - si è tentato di evacuare l’area, ma il tentativo non è andato a buon fine”. 

Organizazzioni internazionali e Chiesa punti di riferimento a livello umanitario
​In questo contesto difficile, mons. Zenari “approva e incoraggia” gli sforzi di quanti “operano per sbloccare situazioni a rischio”. L’ingresso di aiuti a Madaya, Foah, Kefraya “sono segnali positivi sul piano umanitario, anche se non riguardano tutto il Paese. Va però riconosciuto il lavoro di varie entità fra cui l’Onu, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa che, con costanza e senza fare rumore, hanno lavorato per giungere a questi accordi e garantire l’ingresso di aiuti”. All’opera di queste agenzie, aggiunge, va unito “lo sforzo profuso dalla Chiesa e dai singoli sacerdoti, suore, religiosi che grazie alla loro presenza sul posto restano un punto di riferimento importante a livello umanitario”. (R.P.)








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