La misericordia è “la carta di identità” di Dio: così Papa Francesco nel libro-intervista “Il nome di Dio è misericordia”, da oggi in libreria. Il volume riporta una conversazione del Pontefice con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” e coordinatore del sito web “Vatican Insider” Suddiviso in nove capitoli e 40 domande, il libro – edito da Piemme – ha la copertina autografa di Papa Francesco. La prima copia del volume, in italiano, è stata consegnata ieri pomeriggio al Pontefice, presso Casa Santa Marta. Il servizio di Isabella Piro:
Intervista registrata lo scorso luglio
Luglio 2015, Casa Santa Marta: Papa Francesco è da
poco rientrato dal suo viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay. È un pomeriggio
afoso quando riceve il giornalista Andrea Tornielli, munito di tre registratori. Su
un tavolino davanti a sé, il Pontefice ha una concordanza della Bibbia e le citazioni
dei Padri della Chiesa. La misericordia è il tema della conversazione che nasce tra
i due, in vista del Giubileo straordinario che si aprirà cinque mesi dopo. Oggi, i
frutti di quel dialogo sono raccolti nel libro “Il nome di Dio è misericordia”.
Capitolo 1: è tempo di misericordia
Preghiera, riflessione sui Pontefici precedenti e
un’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che “riscalda i cuori delle persone
con la vicinanza e la prossimità”: sono questi i tre fattori, spiega il Papa, che
lo hanno spinto ad indire un Giubileo della misericordia. “La nostra epoca è un tempo
opportuno” per questo, dice, perché oggi si vive un duplice dramma: si è smarrito
il senso del peccato e lo si considera anche incurabile, inguaribile, imperdonabile.
Per questo, l’umanità ferita da tante “malattie sociali” – povertà, esclusione, schiavitù
del terzo millennio, relativismo – ha bisogno di misericordia, di quella “carta di
identità di Dio”, di Colui “rimane sempre fedele” anche se il peccatore Lo rinnega.
La grazia della vergogna rende il peccatore consapevole del peccato
Centrale poi la riflessione del Papa sul tema della
vergogna, intesa come “una grazia” perché rende il peccatore consapevole del proprio
peccato. E particolare la sottolineatura del così detto “apostolato dell’orecchio”,
ossia della capacità dei confessori di “ascoltare con pazienza” perché oggi le persone
“cercano soprattutto qualcuno che sia disposto a donare il proprio tempo per ascoltare
i loro drammi e le loro difficoltà”. Tra l’altro – nota il Papa – è per questo che
tanti si rivolgono ai chiromanti. Il Pontefice rimarca inoltre “che se il confessore
non può assolvere, dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale”,
perché “l’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento”.
Essere confessori è una grande responsabilità
“Abbiate tenerezza con queste persone – dice il Papa
ai sacerdoti – non allontanatele”, perché “la gente soffre” e “essere confessori è
una grande responsabilità”. Al riguardo, il Pontefice cita il caso di sua nipote:
“Io ho una nipote che ha sposato civilmente un uomo prima che lui potesse avere il
processo di nullità matrimoniale – racconta – Quest’uomo era tanto religioso che tutte
le domeniche, andando a Messa, andava al confessionale e diceva al sacerdote: ‘Io
so che lei non mi può assolvere, ma ho peccato in questo e in quest’altro, mi dia
una benedizione’. Questo è un uomo religiosamente formato”.
Capitolo 2: confessione non è tintoria, né tortura. Ascoltare, non interrogare
D’altronde, si va al confessionale “non per essere
giudicati”, ma per “qualcosa di più grande del giudizio: per l’incontro con la misericordia”
di Dio, senza la quale “il mondo non esisterebbe”. Per questo, sottolinea il Pontefice,
il confessionale non deve essere né “una tintoria”, in cui lavare via a secco il peccato
come una semplice macchia, né “una sala di tortura” in cui scontrarsi con “l’eccesso
di curiosità” di alcuni confessori, curiosità a volte “un po’ malata”, morbosa, che
trasforma la confessione in un interrogatorio.
Capitolo 3: riconoscersi peccatori. Il cuore a pezzi è offerta gradita
a Dio
Invece, “nel dialogo con il confessore bisogna essere
ascoltati, non interrogati” e quindi il sacerdote deve “consigliare con delicatezza”.
Ma per ottenere la misericordia di Dio, ribadisce nuovamente Francesco, è importante
riconoscersi peccatori, perché “il cuore a pezzi è l’offerta più gradita al Signore,
è il segno che siamo coscienti del nostro bisogno di perdono, di misericordia”. Il
Papa ricorda, poi, che la misericordia di Dio è “infinitamente più grande del nostro
peccato” , perché il Signore “ci primerea”, “ci anticipa, ci attende” sempre “con
il suo perdono, con la sua grazia”. “Il solo fatto che una persona vada al confessionale
– spiega Francesco – indica che c’è già un inizio di pentimento”. E a volte vale di
più “la presenza impacciata ed umile di un penitente che fa fatica a parlare, piuttosto
che le tante parole di qualcuno che descrive il suo pentimento”.
Capitolo 4: anche il Papa ha bisogno della misericordia di Dio
Dal suo canto, il Papa si definisce “un uomo che ha
bisogno della misericordia di Dio” e offre alcuni consigli al penitente e al confessore:
al primo, suggerisce di non essere superbo, ma di “guardare con sincerità a se stesso
ed al proprio peccato”, così da ricevere il dono della misericordia di Dio. Ai confessori,
invece, Francesco suggerisce di pensare innanzitutto ai propri peccati, poi di ascoltare
“con tenerezza”, senza “scagliare mai la prima pietra”, ma cercando di “assomigliare
a Dio nella sua misericordia”. Come modello, il Pontefice cita il padre che va incontro
al figliol prodigo e lo abbraccia, prim’ancora che il giovane ammetta i suoi peccati.
“Questo è l’amore di Dio – sottolinea il Papa – Questa è la sua sovrabbondante misericordia”.
Capitolo 5: Chiesa condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore
Di fronte a chi, poi, a volte, afferma che nella Chiesa
c’è “troppa misericordia”, il Papa risponde sottolineando che “la Chiesa condanna
il peccato”, ma “allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, gli
parla della misericordia infinita di Dio”. Bisogna perdonare “settanta volte sette,
cioè sempre”, dice il Pontefice, perché “Dio è un padre premuroso, attento, pronto
ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere
un passo” verso di Lui, e “nessun peccato umano, per quanto grave, può prevalere sulla
misericordia e limitarla”. La Chiesa, quindi, “non è al mondo per condannare, ma per
permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”.
Chiesa sia “in uscita”, “ospedale da campo” per i bisognosi di perdono
Per fare questo, però, essa deve essere “Chiesa in
uscita”, “ospedale da campo che va incontro ai tanti ‘feriti’ bisognosi di ascolto,
comprensione, perdono e amore”. È importante, infatti, “accogliere con delicatezza
chi si ha di fronte, non ferire la sua dignità”, afferma il Pontefice, citando un’esperienza
personale, risalente ai tempi in cui era parroco in Argentina: una donna che si prostituiva
per mantenere i suoi figli, lo ringraziò perché il futuro Papa l’aveva sempre chiamata
“Signora”.
Capitolo 6: non leccarsi le ferite del peccato, ma muoversi verso Dio
E ancora, Francesco mette in guardia dall’atteggiamento
di chi dispera “della possibilità di essere perdonato” e preferisce leccarsi le ferite
del peccato, impedendone di fatto la guarigione. “Questa è una malattia narcisista
che porta l’amarezza”, nota il Papa, e in cui si riscontra “un piacere nell’amarezza,
un piacere ammalato”. Al contrario, “la medicina c’è”: basta solo muovere un passo
verso Dio o avere almeno il desiderio di muoverlo, “prendendo sul serio la propria
condizione”, senza credersi “autosufficienti” e senza dimenticare le nostre origini,
“il fango da cui siamo stati tratti, il nostro niente”. E questo “vale soprattutto
per i consacrati”, sottolinea il Papa. Nella vita, infatti, l’importante non è “non
cadere mai”, bensì “rialzarsi sempre”. Questo, allora, è il compito della Chiesa:
“Far percepire alle persone che è sempre possibile ricominciare se soltanto permettiamo
a Gesù di perdonarci”.
Delicatezza, e non emarginazione, per le persone omosessuali
Rispondendo, poi, ad una domanda sulle persone omosessuali,
il Papa spiega quanto detto nel 2013, durante la conferenza stampa di ritorno da Rio
de Janeiro, ovvero “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi
sono io per giudicarla?”. “Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa
cattolica – dice Francesco – dove si spiega che queste persone vanno trattate con
delicatezza e non si devono emarginare”. Il Papa apprezza la dicitura “persone omosessuali”
perché – spiega – “prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità”, che “non
è definita soltanto dalla sua tendenza omosessuale”. “Io preferisco che le persone
omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare
insieme”, aggiunge il Pontefice.
Misericordia è dottrina, è primo attributo di Dio
Quanto al rapporto tra verità, dottrina e misericordia,
Francesco spiega: “Io amo piuttosto dire: la misericordia è vera”, “è il primo attributo
di Dio”. “Poi si possono fare riflessioni teologiche su dottrina e misericordia –
aggiunge – ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina”. A tal proposito,
il Papa cita “i dottori della legge, i principali oppositori di Gesù, che lo sfidano
in nome della dottrina”: essi seguono una logica di pensiero e di fede che guarda
“alla paura di perdere i giusti, i già salvati”. Gesù, invece, segue un’altra logica:
quella che redime il peccato, accoglie, abbraccia, trasforma il male in bene, la condanna
in salvezza. È la logica di un Dio che è amore, spiega il Papa, un Dio che vuole la
salvezza di tutti gli uomini, che non si ferma “a studiare a tavolino la situazione”,
valutando i pro e i contro. Per il Signore, ciò che conta davvero è “raggiungere i
lontani e salvarli”, sanare e integrare “gli emarginati che stanno fuori” dalla società.
Logica di Dio è logica dell’amore che scandalizza i “dottori della legge”
Certo, sottolinea Francesco: questa logica può scandalizzare,
allora come oggi, provocando “il mugugno” di chi è abituato ai propri “schemi mentali
ed alla propria purità ritualistica”, invece di “lasciarsi sorprendere” da un amore
più grande. Al contrario, è proprio questa logica la strada che il Signore ci indica
di fronte alle persone che “soffrono nel fisico e nello spirito”, per vincere così
“pregiudizi e rigidezze” ed evitare di giudicare e condannare “dall’alto della propria
sicurezza”. Andare verso gli emarginati ed i peccatori - aggiunge il Papa - non significa
permettere ai lupi di entrare nel gregge, bensì cercare di raggiungere tutti testimoniando
la misericordia, senza mai cadere nella tentazione di sentirci “i giusti o i perfetti”.
Adesione formale alle regole porta a degradazione dello stupore
Chi si scopre “ammalato nell’anima”, infatti, deve
trovare porte aperte, non chiuse; accoglienza, non giudizio o condanna; aiuto, non
emarginazione. I cristiani che “spengono ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore
di un peccatore”, spiega Francesco, sono come i dottori della legge, “sepolcri imbiancati”
che, con ipocrisia, vivevano attaccati alla lettera della legge, sapevano solo chiudere
porte, segnare confini, ma trascuravano l’amore. Se prevale l’adesione formale alle
regole – mette in guardia il Papa – allora si verifica “la degradazione dello stupore”,
ossia il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza donata da Dio, e ciò ci
spinge a credere di “poter fare da soli, di essere noi i protagonisti”. Questo atteggiamento
“è alla base del clericalismo” e porta i ministri di Dio a credersi “padroni della
dottrina, titolari di un potere”.
Legge della Chiesa è inclusiva, non esclusiva
La Chiesa non deve mai essere così, afferma il Papa,
non deve avere l’atteggiamento di chi impone “pesanti fardelli” sulle spalle della
gente, senza volerli muovere “neppure con un dito”. “Ad alcune persone tanto rigide
– dice il Papa – farebbe bene una scivolata perché così, riconoscendosi peccatori,
incontrerebbero Gesù”. “La grande legge della Chiesa – infatti - è quella dell’et
et e non quella dell’aut aut”. A tal proposito Francesco cita esempi negativi, come
i cinquemila dollari richiesti ad una donna per un processo di accertamento di nullità
matrimoniale o come il funerale in Chiesa rifiutato ad un bambino perché non battezzato.
Capitolo 7: corruzione, peccato elevato a sistema. Peccatori sì, corrotti
no!
Ampia, poi, la riflessione di Francesco sulla corruzione,
definita come “il peccato elevato a sistema e divenuto abito mentale, modo di vivere”.
Il corrotto pecca e non si pente, dice il Papa, finge di essere cristiano e con la
sua doppia vita dà scandalo, crede di non dover più chiedere perdono, passa la vita
in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità sua e degli altri.
Con la sua “faccia da santarellino”, il corrotto evade le tasse, licenzia i dipendenti
per non assumerli definitivamente, sfrutta il lavoro nero e poi si vanta delle sue
furbizie con gli amici o magari va a Messa la domenica, ma poi pretende una tangente
sul lavoro. E “spesso non si accorge del suo stato” come “chi ha l’alito pesante”.
“Peccatori sì, corrotti no!”, esorta il Papa, invitando a pregare, durante il Giubileo,
perché Dio faccia breccia nel cuore dei corrotti, donando loro “la grazia della vergogna”.
Giustizia non basta da sola, serve misericordia
Poi, il Pontefice ricorda che la misericordia è “un
elemento indispensabile” perché vi sia fratellanza tra gli uomini. La giustizia da
sola, infatti, non basta: con la misericordia, Dio va oltre la giustizia, “la ingloba
e la supera” nell’amore. “Non c’è giustizia senza perdono – dice ancora Francesco,
sulla scia di Giovanni Paolo II – e la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto
di una società futura, più giusta e solidale”. Non solo: “la misericordia contagia
l’umanità” e ciò si riflette “nella giustizia terrena, nelle norme giudiziarie”. Basti
pensare al crescente rifiuto della pena di morte che si registra a livello mondiale.
Famiglia, prima scuola di misericordia
“Con la misericordia la giustizia è più giusta”, sottolinea
ancora il Papa, rimarcando che questo non significa “essere di manica larga, spalancare
le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi”, bensì aiutare chi è caduto
a rialzarsi, perché Dio “perdona tutto”, “fa miracoli anche con la nostra miseria”
e la sua misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, tanto che nessuno
può porvi un limite. Il Pontefice ricorda, poi, che la famiglia “è la prima scuola
della misericordia”, perché in essa “si è amati e si impara ad amare, si è perdonati
e si impara a perdonare”.
Capitolo 8: compassione vince globalizzazione dell’indifferenza
Quanto alle caratteristiche dell’amore infinito di
Dio, Papa Bergoglio ricorda che Dio ci ama con compassione e misericordia; la prima
ha un volto più umano, la seconda invece è divina. Infatti, Gesù non guarda alla realtà
dall’esterno, “come se scattasse una fotografia”, ma “si lascia coinvolgere”. Di questa
compassione c’è bisogno oggi, spiega il Papa, e ce n’è bisogno per vincere “la globalizzazione
dell’indifferenza”.
Capitolo 9: praticare opere di misericordia, è in gioco credibilità dei
cristiani
A conclusione del libro-intervista, il Papa si sofferma
sulle opere di misericordia, corporali e spirituali: “Sono attuali e sempre valide
– dice – restano alla base dell’esame di coscienza ed aiutano ad aprirsi alla misericordia
di Dio”. Di qui, l’esortazione a servire Gesù “in ogni persona emarginata”, esclusa,
affamata, assetata, nuda, carcerata, malata, disoccupata, perseguitata, profuga. Nell’accoglienza
dell’emarginato, ferito nel corpo, e del peccatore, ferito nell’anima, si gioca infatti
“la credibilità dei cristiani”, conclude il Pontefice. Perché in fondo, come diceva
San Giovanni della Croce, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”.
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