“Il nome di Dio è Misericordia”. E’ il titolo del libro-intervista di Papa Francesco con il vaticanista Andrea Tornielli. Il volume - edito dalla Piemme - verrà pubblicato martedì 12 gennaio con un lancio mondiale in 86 Paesi. Oggi su quattro giornali italiani: La Stampa, Corriere della Sera, Repubblica ed Avvenire sono stati pubblicati quattro differenti estratti del volume, di cui ci offre una sintesi Alessandro Gisotti:
“Il Papa è un uomo che ha bisogno della misericordia di Dio”. Papa Francesco lo confida nella conversazione con Andrea Tornielli da cui è scaturito il libro “Il nome di Dio è misericordia”. Il Pontefice torna a ribadire il suo “rapporto speciale” con i carcerati. “Ogni volta che varco la porta di un carcere per una celebrazione o per una visita – spiega al vaticanista de La Stampa – mi viene sempre questo pensiero: perché loro e non io”, “le loro cadute avrebbero potuto essere le mie, non mi sento migliore di chi ho di fronte”.
Come Pietro, anche i suoi Successori sono peccatori
“Può scandalizzare questo – ammette – ma mi consolo con Pietro: aveva rinnegato Gesù
e nonostante questo è stato scelto”. Il Papa rammenta di essere stato colpito nel
leggere alcuni testi di Paolo VI e Giovanni Paolo I – Albino Luciani definiva se stesso
“la polvere” – sul senso dei propri limiti, delle proprie incapacità che sono colmate
dalla misericordia di Dio. San Pietro, riprende, ha tradito Gesù. “E se i Vangeli
ci descrivono il suo peccato, il suo rinnegamento – annota – e se nonostante tutto
ciò Gesù gli ha detto: Pasci le mie pecorelle, non credo che ci si debba
meravigliare se anche i suoi Successori descrivono se stessi come peccatori”.
In un altro passaggio del volume, Francesco afferma dunque che può “leggere” la sua
vita attraverso il capitolo 16 del Libro di Ezechiele laddove il profeta “parla della
vergogna”.
Vergogna è grazia che ci fa sentire la misericordia di Dio
La vergogna, sottolinea il Papa, è una “grazia: quando uno sente la misericordia di
Dio, ha una grande vergogna di se stesso, del proprio peccato”. La vergogna, evidenzia,
“è una delle grazie che Sant’Ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti
al Cristo crocifisso”. Quel testo di Ezechiele, confida, “insegna a vergognarti”,
ma “con tutta la tua storia di miseria e di peccato, Dio ti rimane fedele e ti innalza”.
Francesco rammenta padre Carlos Duarte Ibarra, il confessore che incontrò nella sua
parrocchia il 21 settembre 1953, giorno in cui la Chiesa celebra San Matteo: “Mi sentii
accolto dalla misericordia di Dio confessandomi da lui”. Un’esperienza così forte
che, anni dopo, la vocazione di San Matteo descritta nelle omelie di San Beda il Venerabile
sarebbe diventata il suo motto episcopale: miserando atque eligendo.
Chiesa esiste per permettere l’incontro con la misericordia di Dio
Francesco approfondisce dunque la missione della Chiesa nel mondo. Innanzitutto, evidenzia
che la “Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità”. Al tempo stesso, però,
“abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia
infinita di Dio”. Gesù, evidenzia Francesco, “ha perdonato persino quelli che lo hanno
messo in croce e lo hanno disprezzato”. Il Papa richiama la parabola del Padre misericordioso
e del figlio prodigo. “Seguendo il Signore – è la sua riflessione – la Chiesa è chiamata
a effondere la sua misericordia su tutti coloro che si riconoscono peccatori, responsabili
del male compiuto, che si sentono bisognosi di perdono”. “La Chiesa – avverte ancora
Francesco – non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore
viscerale che è la misericordia di Dio”.
Giubileo faccia emergere sempre più volto di una Chiesa materna
Per annunciare la misericordia di Dio, soggiunge il Papa, “è necessario uscire”. “Uscire
dalle chiese e dalle parrocchie, uscire e andare a cercare le persone là dove vivono,
dove soffrono e dove sperano”. Torna dunque all’immagine della Chiesa come “ospedale
da campo” e annota che la “Chiesa in uscita ha la caratteristica di sorgere là dove
si combatte: non è la struttura solida, dotata di tutto, dove ci si va a curare per
le piccole e grandi infermità”: “vi si pratica la medicina d’urgenza, non si fanno
i check-up specialistici”. Quindi, auspica che “il Giubileo straordinario faccia emergere
sempre di più il volto di una Chiesa che riscopre le viscere materne della misericordia
e che va incontro ai tanti feriti bisognosi di ascolto, compassione, perdono,
amore”.
Peccatori sì, ma non accettare lo stato di corruzione
Francesco torna poi a riflettere sulla distinzione tra peccato e corruzione. Quest’ultima,
osserva, “è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili,
viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere”. “Il peccatore
pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza – ribadisce
– trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto,
invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano,
e con la sua doppia vita dà scandalo”. “Non bisogna accettare lo stato di corruzione
come se fosse soltanto un peccato in più – è il monito del Pontefice – anche se spesso
si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si tratta di due realtà distinte
seppur legate tra loro”. “Uno – constata – può essere un grande peccatore e ciononostante
può non essere caduto nella corruzione”. Francesco fa l’esempio di alcune figure come
Zaccheo, Matteo, la Samaritana, Nicodemo e il buon ladrone. “Nel loro cuore
peccatore – afferma – tutti avevano qualcosa che li salvava dalla corruzione. Erano
aperti al perdono, il loro cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato
lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio”.
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