2016-01-05 14:44:00

Anche il Kuwait nel fronte sunnita contro l'Iran


La comunità internazionale segue con grande timore l’ampliarsi del fronte anti-sciita e anti-iraniano che, partito dall’Arabia Saudita, si sta espandendo a tutte le  monarchie sunnite del Golfo. I timori sono per un conflitto globale, per questo Stati Uniti e Russia si offrono come mediatori e la Lega Araba si riunirà domenica d’urgenza. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Anche il Kuwait rivede le relazioni diplomatiche con Teheran richiamando il suo ambasciatore e portando così a quattro i Paesi del Golfo che si affiancano all'Arabia Saudita. L’azione anche in questo caso è una protesta per l’attacco alle sedi diplomatiche saudite a Teheran ritenuto una violazione evidente agli accordi internazionali. Già il Bahreïn aveva seguito Ryad come gli Emirati Arabi Uniti, anche se più cauti, e il più lontano Sudan, in una spaccatura tra sunniti e sciiti generata dall’uccisione, sabato, a Ryad dell'imam sciita Nimr al Nimr, considerato un terrorista e un oppositore alla dinastia saudita. L’Iran oggi reagisce sospendendo i pellegrinaggi a la Mecca e bollando come "strane azioni", le rappresaglie diplomatiche con cui l’Arabia sta coprendo un “crimine” cui la "gente comune ha reagito". Quindi, la rassicurazione che nulla nell’economia iraniana cambierà o subirà ripercussioni. A disinnescare la crisi e salvaguardare la stabilità e la sicurezza della regione pensano Russia e Stati Uniti, che si sono proposti come mediatori. Al loro fianco anche la Turchia, mentre domenica prossima è in programma la riunione d’emergenza della Lega Araba.

Ma come interpretare questo fronte sunnita che si allarga velocemente? Potrebbe degenerare in un conflitto globale? Gabriella Ceraso ne ha parlato con l'ambasciatore Giuseppe Panocchia esperto di Medio Oriente:

R. – Non mi sorprende che anche il Kuwait abbia aderito, perché il Paese deve molto all’Arabia Saudita sin dall’epoca della guerra con l’Iraq ed è membro del Consiglio di cooperazione del Golfo insieme con gli altri emirati. Quello che mi preoccupa di questo aspetto è se – siccome in questi Paesi esistono delle minoranze sciite più sensibili quindi al richiamo iraniano – questa scelta sia stata saggia. Non credo però che questo possa essere un segno di una volontà di andare a uno scontro in campo aperto. Ci potranno essere incidenti, ma non so se si arriverà ad una guerra guerreggiata, perché non sarebbe nell’interesse di nessuno dei due. Il punto di maggior tensione, secondo me, riguarda il controllo dello Stretto di Tiran, ovvero del punto di uscita del Golfo Persico verso l’Oceano Indiano, che tutti i Paesi produttori di petrolio devono obbligatoriamente passare per esportare il loro petrolio. D'altra parte, il lato opposto della Penisola, con l'accesso al mar Rosso, è controllato oggi dai sunniti ed è quindi sul quel fronte che potremmo vederne delle belle.

D. – È anche vero che storicamente i rapporti tra Arabia Saudita ed Iran non sono mai stati buoni…

R. – Facendo un rapidissimo excursus storico, bisogna ricordarsi che l’Iran moderno – che si fa risalire al 16.mo secolo – nasce proprio per riconoscere una propria radice nazionale abbandonando la Sunna per diventare sciita. Oppure, che quando c’è stato da scegliere chi mettere contro l’Iran si è ricorso ai sunniti. Oggi, l’interesse concreto che secondo me ha portato all’accentuazione di questa crisi, è il petrolio. Perchè nel momento in cui l’Iran riacquista una sua legittimità internazionale, con la prospettata riduzione ed eliminazione delle sanzioni, è un Paese che può esportare molto più petrolio di quanto non ne esporti oggi. Il problema vero è che Iran ed Arabia Saudita mirano a essere potenze egemoni nella regione e tra di loro sono storicamente incompatibili. L’equilibrio si è retto fino a quando gli americani controllavano in qualche forma sia l’Arabia Saudita che l’Iran: adesso che stanno cercando di intraprendere, di nuovo questo gioco non ci sono più le condizioni di 40 anni fa. Questa è la triste realtà.

D. – Secondo le milizie hezbollah sciite, prime alleate dell’Iran, il piano dell’Arabia Saudita è molto più ampio: vuole far cadere Damasco, vuole fare implodere il Libano, dividere l’Iraq ed isolare l’Iran. È plausibile una spiegazione del genere?

R. – È uno scenario che diversi hanno provato a disegnare ma è estremamente complesso. D'altra parte, la sola scomparsa della Siria che significherebbe la parcellizzazione dell’attuale territorio tra il Libano, in cui gli sciiti bene o male sono la maggioranza, e il Kurdistan – che, secondo me, mai e poi mai la Turchia, ma lo stesso Iran o l'Iraq accetterebbero di veder sorgere – mi parrebbe estremamente complicato da realizzare perché gli interessi sono troppi e troppo divergenti.

D. – Fatto sta che comunque l’area mediorientale si stava ricompattando in nome del terrorismo e anche la questione del nucleare si stava ricucendo tra Occidente e Iran. Invece, da un giorno all’altro sono tutti di nuovo contro tutti…

R. – Allora, c’è da domandarsi perché pur mettendo a morte una serie di personaggi implicati nel terrorismo – in numero due di al Qaeda – poi abbiano voluto mettere nel calderone anche questo imam. Forse pensavano che sarebbe passato inosservato, ma non credo che a Riad ci sia una simile ingenuità. Quindi, secondo me è una mossa per richiamare l’America e dire: “Scegliete con chi volete stare”. Questa è una risposta che in questo momento l’America difficilmente darà. Cercherà di rimanere con tutti e due.








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