2016-01-05 08:03:00

Anche Emirati,Bahrein e Sudan rompono le relazioni con Iran


Altri tre paesi a maggioranza sunnita interrompono le relazioni diplomatiche con l’Iran: si tratta dell'ultimo sviluppo delle tensioni crescenti tra Arabia Saudita e Iran, dopo che sabato è stato ucciso a Riad l'imam sciita Nimr al Nimr e a Teheran è stata data alle fiamme l'ambasciata saudita. Russia e Usa si sono detti pronti a mediare per disinnescare la crisi. Adriana Masotti:

Mentre proseguono le proteste popolari a Teheran contro l’Arabia Saudita, altri tre paesi a maggioranza sunnita Emirati Arabi, Bahrein e Sudan hanno deciso di seguire l’esempio dell’Arabia e di rompere le relazioni diplomatiche con Teheran. Il Bahrein ha intimato ai diplomatici iraniani di lasciare il Paese entro 48 ore e la sua mossa  probabilmente sarà seguita dalle altre petromonarchie sunnite del Golfo, facendo crescere ancora di più la tensione tra le due grandi famiglie dell'Islam: la sunnita e la sciita. Tra i Paesi del golfo Abu Dhabi, per il momento, ha preferito una misura meno drastica riducendo il livello delle relazioni diplomatiche e il personale nell'ambasciata. Intanto per tentare una mediazione tra Iran e Arabia Saudita, che hanno interrotto tra loro anche i collegamenti aerei, scendono in campo Stati Uniti e Russia: Mosca si è detta  pronta a ospitare un incontro tra i capi delle diplomazie saudita e iraniana. Gli Stati Uniti hanno chiesto ai due Paesi  di "fermare l'escalation" , di "mostrare moderazione e non infiammare ulteriormente la situazione nella regione” e il segretario di Stato John Kerry ha già avuto un colloquio con i ministri degli Esteri di Iran e Arabia Saudita. Da parte sua, Al Azhar, la massima autorità religiosa sunnita con sede al Cairo, ha invitato a "non interferire negli affari interni dell’ Arabia Saudita". La Lega araba ha annunciato che terrà una riunione d'emergenza domenica prossima sulla crisi tra i due Paesi, in particolare sugli attacchi della folla nella Repubblica islamica contro rappresentanze diplomatiche di Riad, attacchi condannati anche dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre l'inviato delle Nazioni Unite per la Siria Staffan de Mistura ha annunciato che si rechera' a Riad e poi a Teheran per disinnescare la tensione tra le due capitali.

Si accentua, dunque, la frattura tra mondo musulmano sunnita e sciita, che rischia di ripercuotersi in tutto il Medio Oriente. L’Alto rappresentate per la politica estera europea Mogherini teme che queste tensioni mettano in discussione anche i colloqui di pace per la Siria delle prossime settimane. Nell'attuale contesto appare decisivo il ruolo degli Stati Uniti, come spiega Alberto Negri esperto dell'area mediorientale per il “Sole 24 ore”, al microfono di Michele Raviart:

R. – Era molto probabile che ci potesse essere un innesco di alta tensione tra Riad e Teheran. Ma questo messaggio, a chi è diretto? Da una parte, ovviamente, agli iraniani, la potenza rivale dei sauditi, e dall’altra parte agli Stati Uniti perché hanno cambiato le regole del gioco nel Golfo facendo questo accordo con l’Iran - il 14 luglio scorso - in cui si è arrivati all’intesa sul nucleare e alla prossima cancellazione delle sanzioni. I sauditi sono in difficoltà perché stanno perdendo la guerra in Yemen, non vincono quella in Siria e quindi chiedono agli americani di tirarli "fuori dai guai". Dalla reazione americana si commisureranno tutte le altre reazioni degli attori della regione, in primo luogo degli iraniani.

D. – Che ripercussioni avrà questa scelta di rompere le relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran in tutta l’area, pensando soprattutto alla Siria …

R. – Ovviamente avrà delle ripercussioni anche sul negoziato che intendono avviare le Nazioni Unite intorno al 20, 25 gennaio. Questo negoziato sulla Siria è decisivo per dare una rappresentanza soprattutto al fronte sunnita di cui i sauditi si fanno portabandiera. Ma, certamente, con la rottura di queste relazioni diplomatiche sarà sempre più difficile arrivare a compromessi.

D. – Si può pensare all’idea che ci sia una guerra diretta tra queste due grandi potenze regionali?

R. – Certamente si può pensare, perché quelle indirette sono state tantissime, a cominciare dall’80 quando Saddam Hussein attaccò l’Iran sciita di Khomeini e i sauditi e le monarchie del Golfo lo finanziarono con 50 miliardi di dollari, una guerra che durò otto anni con un milione di morti. Poi, indirettamente, ci sono state guerre tra sciiti e sunniti, quelle dell’Afghanistan ma anche quella dell’Iraq nel 2003 che portò alla caduta di Saddam e all’ascesa di un governo a maggioranza sciita a Baghdad. In tutto questo è chiaro che questi conflitti come in quelli in Siria sono stati dei conflitti per procura. Uno scontro diretto è possibile, ma certamente tutti gli attori regionali, soprattutto le grandi potenze e in particolare gli Stati Uniti, cercheranno di frenarlo in un momento come questo, perché l’America - lo abbiamo visto - non ha voglia di esser coinvolta in un conflitto mediorientale nell’anno delle elezioni presidenziali.

D. - In che cosa differiscono gli interessi di Arabia Saudita ed Iran?

R. - Differiscono dal punto di vista ideologico, religioso ma anche economico. Quello economico è determinato dal prezzo del petrolio. I sauditi nel novembre del 2014 hanno cominciato una sovrapproduzione per deprimere i prezzi ed occupare quote di mercato, minacciato dallo "shale oil" americano e dal ritorno dell’Iran sui mercati e cercando di metterne con le spalle al muro l’economia. Questa strategia in parte non è solo fallita, ma soprattutto è stata pagata anche dai sauditi. Poi c’è quello religioso tra sunniti e sciiti che ha radici storiche, dal 680, che sono poi state rinnovate negli anni ‘70 e ‘80 con l’ascesa della repubblica islamica iraniana a Teheran.

D. - Il terrorismo può trovare terreno fertile da questa tensione?

R. - Innanzitutto questo conflitto approfondisce ancora di più la disgregazione degli Stati della regione che si trova anche con frontiere sempre più insicure. Questi Stati in qualche modo vacillano nella loro stessa essenza ed è per questo che la situazione è pericolosa; oltre tutto, è chiaro, che questa destabilizzazione e questa disgregazione favoriscono un’ulteriore intensificazione del terrorismo.

 








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