2016-01-04 07:59:00

L'Arabia Saudita rompe le relazioni diplomatiche con l'Iran


Continua a salire la tensione tra Arabia Saudita e Iran. Riad ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con Teheran. La decisione è il punto di arrivo della crisi tra i due Paesi, leader rispettivamente delle comunità musulmane sunnite e sciite. Sabato scorso l’esecuzione da parte dei sauditi dell’imam sciita Al-Nimr, insieme con altre 46 persone accusate di terrorismo, mentre ieri è stata assalita l’ambasciata araba a Teheran. Il servizio di Michele Raviart:

I diplomatici iraniani avranno 48 ore di tempo per lasciare l’Arabia Saudita. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri arabo Said Adel Al-Jubeir, dopo aver richiamato in patria tutto il personale saudita in servizio a Teheran. Un escalation cominciata con l’esecuzione dello sceicco sciita Al-Nimr, per il quale l’ayatollah Khamenei aveva invocato “la vendetta divina” sull’Arabia Saudita e culminata nella notte tra sabato e domenica, quando un gruppo di persone ha incendiato e saccheggiato l’ambasciata saudita in Iran. 40 gli arrestati e dura la condanna del presidente iraniano Rohani. “Una flagrante violazione delle convenzioni internazionali”, ha detto invece Al-Jubeir, che ha accusato Teheran di non aver collaborato per mettere in sicurezza l’ambasciata. “Decidendo di rompere i rapporti diplomatici, l’Arabia Saudita non può far dimenticare il grave errore di aver giustiziato un dignitario religioso”, hanno commentato fonti governative iraniane. Compatte le reazione degli alleati. Sciiti sono scesi in piazza in Iraq, Bahrein e Libano contro il “dispotismo saudita”, mentre l’organizzazione della cooperazione islamica, sostenuta dall'Arabia Saudita e di cui fanno parte Paesi come Egitto e Qatar, ha condannato le aggressioni contro il personale saudita e ricordato l’impegno di Riyad contro il terrorismo.

Ma quanto può pesare questa escalation di tensione tra Iran e Arabia Saudita nella geopolitica della regione? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, direttore di Famiglia Cristiana web:

R. – Il conflitto tra sciiti e sunniti, rappresentato in questo momento soprattutto da Arabia Saudita e Iran, va avanti da molti secoli, perlomeno, è acutissimo negli ultimi decenni e non credo saranno queste esecuzioni a cambiarne la natura e la radicalità. Credo che queste esecuzioni siano un monito all’Occidente, da parte dell’Arabia Saudita, per dire: “Noi siamo l’unico punto di riferimento in Medio Oriente, noi facciamo quello che vogliamo e l’Occidente deve accettare questa alleanza che va avanti ormai da un secolo, a qualunque costo”. Io credo che il vero messaggio sia questo, perché sciiti e sunniti, Iran e Arabia Saudita si combattono da tempo su talmente tanti fronti che certamente l’esecuzione di al Nimr, per quanto clamorosa, non può influire su questo quadro.

D. – Qual è il ruolo dei due Paesi nella lotta al sedicente Stato islamico?

R. – Certamente, è più deciso, è più convinto – per tante ragioni – il ruolo dell’Iran, nella lotta contro l’Isis. Per i movimenti radicali, estremisti, terroristici islamici che operano nel cosiddetto “Siraq”, tra Siria e Iraq, l’Arabia Saudita è stata fomentatrice, finanziatrice, organizzatrice, armatrice … Che poi abbia preso le distanze dall’Isis, non prendendole però da tutta una galassia di movimenti che sono sostanzialmente analoghi, conta poco. Certamente l’Iran in questo momento, per ragioni di interesse politico, ovviamente, è molto più convinto nella battaglia contro l’Isis. D’altra parte, l’Arabia Saudita è diventata da due anni il primo acquirente mondiale di armi, e queste armi non possono certo accumularsi in Arabia Saudita: queste armi vanno da qualche parte. E vanno, ovviamente, in parte anche sul fronte siriano.

D. – Secondo lei, quali scenari si possono aprire, nell’immediato presente?

R. – Non credo che cambierà moltissimo, se non che ovviamente ci sarà ancora un inasprimento, però delle stesse tensioni che abbiamo visto in opera in questi anni. E qui il punto vero è l’atteggiamento dell’Occidente: l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti dell’Arabia Saudita deve cambiare perché l’Arabia Saudita gode – ormai da decenni – di un’impunità che sta diventando veramente devastante.

Del braccio di ferro tra Iran e Arabia Saudita Elvira Ragosta ha parlato anche con Gabriele Iacovino, analista del Cesi (Centro studi internazionali):

   

R. – Queste esecuzioni avvenute in Arabia Saudita non sono altro che l’ultimo episodio di un’escalation anche di toni tra le due potenze regionali. Da una parte, abbiamo un Iran che negli ultimi mesi, nell’ultima parte del 2015, si è affacciato nuovamente sulla scena internazionale, dall’altra parte, abbiamo un’Arabia Saudita preoccupata di questa ascesa di influenza iraniana, e abbiamo anche una serie di crisi in cui si sta vedendo appunto la contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, tra Teheran e Ryad. Abbiamo visto l’Iraq, abbiamo visto la Siria ma vediamo anche come lo Yemen sia nuovo territorio di scontro e di influenza nella regione tra le due potenze. Quindi, sì: è una questione che per adesso ricalca i temi religiosi, ma inevitabilmente ha e avrà e continuerà ad avere delle ripercussioni politiche nella regione.

D. – Gli sciiti rappresentano una minoranza nel mondo islamico, rispetto ai sunniti; e in Arabia Saudita sono il 5 per cento. Secondo alcuni, dietro all’esecuzione dell’imam al Nimr ci sono anche interessi economici: il leader sciita nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio …

R. – Più che reali interessi economici, c’è una questione di fatto: è una minoranza, quella sciita ma è una minoranza che abita la regione ricca dell’Arabia Saudita, dove di fatto ci sono tutti i giacimenti di petrolio e ci sono tutte le infrastrutture petrolifere. E’ qui un altro territorio di scontro, non solo religioso ma di fatto anche politico e, inevitabilmente, economico. La minoranza sciita in Arabia Saudita non ha la forza politica per chiedere una secessione, però di fatto è una questione che è sempre all’ordine del giorno della casa regnante, innanzitutto da un punto di vista di sicurezza, perché di fatto il controllo della sicurezza di quella regione è fondamentale per le finanze saudite, essendo lo Stato dell’Arabia Saudita fondato sull’industria petrolifera. E' l’unica entrata per le casse della casa regnante …

D. – Come interpretare la reazione che si è registrata in Iran?

R. – E’ una reazione politica forte, perché di fatto se qualcosa avviene a Teheran davanti all’ambasciata saudita, è perché le autorità iraniane lo vogliono. E’ un segnale forte all’Arabia Saudita, è un segnale di escalation dei toni. E, difatti, potrebbe anche essere un problema per il proseguo dei negoziati, primo fra tutti quello di Vienna, ma anche per quanto riguarda la questione Iraq. Laddove in Medio Oriente vi è una dialettica sunnismo contro sciismo, per quando riguarda l’influenza e la divisione del potere, questo episodio avrà delle ripercussioni.








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