2016-01-02 14:29:00

Riad, 47 esecuzioni tra loro imam sciita. L'Iran: la pagherà


Oltre 40 le esecuzioni in Arabia Saudita, dove a essere stati decapitati sono stati presunti terroristi ma anche oppositori di Riad. Tra loro un importante sceicco, la cui uccisione ha provocato la dura reazione di Teheran. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

L’Arabia Saudita sin da queste prime ore del 2016 vuole confermare le statistiche che la pongono tra i Paesi con il più alto numero di esecuzioni. Quarantasette le persone messe a morte. Tra loro, secondo il Ministero dell’interno saudita, alcune sarebbero state legate ad Al Qaeda e coinvolte in una serie di attentati, avvenuti tra il 2003 e il 2006. Altre invece sono state uccise per la loro opposizione al conservatore e sunnita regime di Riad. Le conseguenze più gravi, senz’altro, le avrà la decapitazione dello sceicco Nimr al-Nimr, religioso sciita molto influente, condannato per sedizione, per aver guidato un forte movimento di protesta popolare nella parte orientale del Paese e per aver incitato i suoi alla rivolta per chiedere più diritti e maggiore indipendenza, ma senza mai istigare alla violenza. Immediata la reazione dell’islam sciita, dai ribelli Houthi dello Yemen, al Bahrein, ma la minaccia più pesante arriva dall’Iran, che ha avvertito che l’Arabia Saudita "pagherà a caro prezzo" l’esecuzione dell’imam. Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi all'Università cattolica di Milano:

R. – Noi siamo abituati a pensare al mondo musulmano come a un tutto omogeneo, il che è assolutamente falso. Ci sono delle differenze e non soltanto per l’appartenenza religiosa, ci sono anche delle antichissime dinamiche legate alla geopolitica. L’Iran, quello che era una volta la Persia, è sempre stato un Paese concorrente sia delle potenze dell’Egeo, dai greci fino agli ottomani, sia anche dei Paesi del golfo arabo e questo per ragioni strategiche, ovviamente, e per interessi molto concreti. Che poi la religione venga in qualche modo utilizzata e strumentalizzata per giustificare ben altri interessi o per coprirli e mascherarli non è una novità.

D. – Però adesso, secondo lei, ci potrà essere qualche sorpresa nella reazione dell’Iran o le minacce saranno verbali e basta?

R. – No, in effetti penso che la situazione sia sempre più tesa, anche perché siamo in una fase di “sdoganamento” del regime di Teheran, dopo moltissimi anni di embargo quasi totale, e quindi gli equilibri stanno cambiando e chi ne sta facendo le spese sono soprattutto l’Iraq e la Siria, che sono Paesi ormai distrutti, in cui minoranze e maggioranze sciite e sunnite – ma anche altre tipologie perfino etniche come i curdi, tanto per citare un esempio  – sono in fermento perché l’ordine provvisorio e precario dato a questa regione dopo la Prima Guerra mondiale sta mostrando tutta la sua fragilità. E’ certo che pensare a ridisegnare i confini di questa area su basi etniche o religiose comporterebbe due conseguenze spaventose, che sono deportazioni di massa e genocidi. Quindi, anche l’inasprimento, diciamo così, della repressione interna di ogni voce dissidente fa parte di un degradamento della situazione del Medio Oriente, che purtroppo vediamo ma sulla quale però non stiamo facendo nulla di efficace.

D – In questo caso, pensando a Riad vengono in mente immediatamente gli Stati Uniti. Washington, secondo lei, dovrebbe reagire?

R. – Non credo che lo farà, perché ormai gli interessi degli Stati Uniti sono nel Pacifico, il grande gioco si sta svolgendo tra Cina e Stati Uniti. Noi rischiamo di diventare un’area marginale nel mondo e infatti lo stesso intervento di Putin, o addirittura quello di una nave da guerra cinese nel Mediterraneo – che penso sia, forse, la prima volta nella storia che si registra – quasi non generano reazioni, soprattutto da parte dell’Unione Europea che dovrebbe invece muoversi, anche perché siamo i primi a “patire” le conseguenze dirette di questo sconvolgimento del Medio Oriente e del Nord Africa, se non altro per le masse di disperati che si riversano sulle nostre coste.








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