2016-01-02 18:42:00

In Arabia Saudita 47 esecuzioni, anche accuse per terrorismo


Durissime reazioni nel mondo sciita per l'esecuzione, da parte dell'Arabia Saudita, del religioso Nimr Al-Nimr, leader delle proteste sciite nella parte orientale del paese e condannato a morte lo scorso anno per sedizione. In una nota il governo iraniano afferma che Riad 'paghera' a caro prezzo' la morte di Nimr, giustiziato insieme ad altre 46 persone. Il governo saudita  difende le condanne. Elvira Ragosta:

Per il ministero dell’interno saudita le quarantasette persone giustiziate erano tutti terroristi, la maggior parte militanti di al Qaeda condannati per attentati compiuti tra il 2003 e il 2006. Tra loro anche il leader sciita Nimr al Nimr, considerato uno dei principali oppositori sauditi e tra gli organizzatori dei movimenti di protesta scoppiati in Arabia Saudita nel 2011, sull’onda delle così dette primavere arabe, per rivendicare maggiori diritti per la minoranza sciita del Paese. Non si è fatta attendere la reazione dell’Iran: il ministro degli Esteri di Teheran ha annunciato che l’Arabia saudita pagherà a caro prezzo l’esecuzione di al Nimr.

Proteste si sono verificate oggi nella città iraniana di Qom, e domani gli studenti delle scuole coraniche scenderanno in piazza nella capitale Teheran. Alle proteste iraniane si sono aggiunte anche quelle dell’alleato Hezbollah, il movimento sciita libanese che ritiene gli Stati Uniti e i suoi alleati responsabili per le esecuzioni. Anche in Iraq, alcuni leader sciiti hanno chiesto la chiusura dell’ambasciata saudita e l’espulsione dell’ambasciatore. Sono state almeno 158 le persone giustiziate nel 2015 in Arabia Saudita. Ma il record dell’ultimo ventennio è detenuto dall’Iran, dove, per Amnesty International, le esecuzioni hanno superato il migliaio.

 

Per un commento Francesca Sabatinelli ha sentito Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi all'Università cattolica di Milano:

R. – Noi siamo abituati a pensare al mondo musulmano come a un tutto omogeneo, il che è assolutamente falso. Ci sono delle differenze e non soltanto per l’appartenenza religiosa, ci sono anche delle antichissime dinamiche legate alla geopolitica. L’Iran, quello che era una volta la Persia, è sempre stato un Paese concorrente sia delle potenze dell’Egeo, dai greci fino agli ottomani, sia anche dei Paesi del golfo arabo e questo per ragioni strategiche, ovviamente, e per interessi molto concreti. Che poi la religione venga in qualche modo utilizzata e strumentalizzata per giustificare ben altri interessi o per coprirli e mascherarli non è una novità.

D. – Però adesso, secondo lei, ci potrà essere qualche sorpresa nella reazione dell’Iran o le minacce saranno verbali e basta?

R. – No, in effetti penso che la situazione sia sempre più tesa, anche perché siamo in una fase di “sdoganamento” del regime di Teheran, dopo moltissimi anni di embargo quasi totale, e quindi gli equilibri stanno cambiando e chi ne sta facendo le spese sono soprattutto l’Iraq e la Siria, che sono Paesi ormai distrutti, in cui minoranze e maggioranze sciite e sunnite – ma anche altre tipologie perfino etniche come i curdi, tanto per citare un esempio  – sono in fermento perché l’ordine provvisorio e precario dato a questa regione dopo la Prima Guerra mondiale sta mostrando tutta la sua fragilità. E’ certo che pensare a ridisegnare i confini di questa area su basi etniche o religiose comporterebbe due conseguenze spaventose, che sono deportazioni di massa e genocidi. Quindi, anche l’inasprimento, diciamo così, della repressione interna di ogni voce dissidente fa parte di un degradamento della situazione del Medio Oriente, che purtroppo vediamo ma sulla quale però non stiamo facendo nulla di efficace.

D – In questo caso, pensando a Riad vengono in mente immediatamente gli Stati Uniti. Washington, secondo lei, dovrebbe reagire?

R. – Non credo che lo farà, perché ormai gli interessi degli Stati Uniti sono nel Pacifico, il grande gioco si sta svolgendo tra Cina e Stati Uniti. Noi rischiamo di diventare un’area marginale nel mondo e infatti lo stesso intervento di Putin, o addirittura quello di una nave da guerra cinese nel Mediterraneo – che penso sia, forse, la prima volta nella storia che si registra – quasi non generano reazioni, soprattutto da parte dell’Unione Europea che dovrebbe invece muoversi, anche perché siamo i primi a “patire” le conseguenze dirette di questo sconvolgimento del Medio Oriente e del Nord Africa, se non altro per le masse di disperati che si riversano sulle nostre coste.








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