2016-01-01 09:30:00

Dietro guerre e violenze, il commercio di armi delle grandi potenze


Nella Giornata Mondiale della Pace vogliamo ricordare che dietro tante guerre c'è un ricco traffico di armi che non conosce crisi e anzi aumenta i suoi affari. Papa Francesco spesso si è scagliato, e con parole durissime, contro questo commercio di morte che fa strage di innocenti. Marco Guerra ne ha parlato con Fabrizio Battistelli, presidente dell’Istituto Archivio Disarmo:

R. – Vere e proprie leggi internazionali non esistono ancora oggi, se non attraverso il Trattato per il commercio delle armi leggere, che è in corso di approvazione. In realtà esistono delle leggi nazionali e delle leggi regionali, per esempio a livello europeo. Il punto è che molti traffici sono anche illeciti e seguono vie parallele, sfuggono al controllo, abbastanza blando del resto, internazionale, e soprattutto a quello un po’ più stringente degli Stati.

D. – Secondo le ultime statistiche, è cresciuto l’export di armi dai Paesi occidentali verso i Paesi in guerra. Ma chi c’è dietro questo business e chi ci guadagna maggiormente? Chi sono i produttori mondiali che alimentano tutto questo?

R. – Sono tutte le grandi potenze: Stati Uniti in testa, seguiti da Russia, Cina, e a livello europeo dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Anche la Germania e l’Italia sono in un’ottima posizione, per esempio nelle armi leggere. Insomma, esistono settori importanti che hanno in Italia, come in ogni altro Paese, il problema di raggiungere il cosiddetto "break even point", cioè quel livello oltre il quale si guadagna. Quindi la produzione nazionale non è in grado di raggiungere questa soglia da sola. Ecco perché c’è questa dinamica che induce poi le aziende a promuovere le esportazioni e gli Stati ad accettarlo.

D. – Ma è possibile tracciare una mappa con le principali rotte mondiali del traffico di armi?

R. – Bisogna seguire le aree di crisi. In questo momento il Medio Oriente è tutto un gigantesco arsenale, alimentato da canali ufficiali e da canali illeciti. E’ chiaro che se c’è una situazione di crisi come quella determinata dal sedicente Stato Islamico, la risposta determina un impegno molto importante di armamenti, anche tra i più avanzati. Vengono messi alla prova i sistemi più avanzati, più nuovi e poi grandi Paesi importatori, come per esempio l’Arabia Saudita e gli altri Stati della penisola arabica, sono tra i maggiori acquirenti mondiali. In quel caso è una vendita regolare tra Stati per scopi consentiti ufficialmente. E’ chiaro, però, che anche questo alimenta tutto un flusso di armi - non di grandi sistemi tecnologici magari - e le armi più piccole, quelle portatili, poi non si sa dove vanno a finire.

D. – Si può dire che fermare il traffico di armi vuol dire anche non foraggiare il terrorismo?

R. – Sicuramente sì, perché come negli acquedotti sembra che per trasportare l’acqua da un posto all’altro gli ingegneri calcolino che ci sia almeno un dieci per cento di dispersione, qualcosa del genere succede ai flussi di armi: non il 10, ma il 20, il 30 per cento spesso di queste armi si perdono per strada e ritornano poi nelle mani di coloro per fronteggiare i quali erano state spedite. Questo è il caso storico di questi giorni dell’Is: fino a qualche mese fa ha operato le sue conquiste grazie alle armi che generosamente gli Stati occidentali avevano fornito all’esercito iracheno e alle altre forze anti Assad in Siria, nell’ipotesi, nella speranza che servissero a fermare l’Is da un lato ed eventualmente ad abbattere il regime di Assad in Siria. Queste due finalità non sono state raggiunte con questi invii di armi. 

D. – Papa Francesco in un’omelia ha sottolineato che siamo capaci di distruggere anche la fraternità, ricordando Caino ed Abele. Questo è vero se pensiamo alle tante guerre civili, dove a combattersi sono fazioni dello stesso popolo…

R. – Sì, è così. Oggi le guerre vere, reali, vengono combattute non più tra Stati come era il modello classico delle due guerre mondiali. Adesso abbiamo tutte guerre civili e abbiamo delle fazioni, abbiamo la strumentalizzazione del fattore religioso, per contrapporsi ad un nemico vero o presunto; abbiamo tutte guerre che sono di natura interna: sciiti contro sunniti o curdi contro turchi. Ecco questo è il dramma e la particolarità di questi anni.








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