2015-12-24 13:05:00

Siria, mons. Zenari: quarto Natale di guerra, ma ora c'è speranza


La gioia del Natale in Siria “è una sfida alle sofferenze e all’odio che ormai dilaga nel cuore della popolazione”. Sono le parole dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, nelle ore in cui si rivive la nascita di Gesù nelle parrocchie del Paese, nelle case, ma anche nei campi che accolgono sfollati e profughi a causa di un conflitto che si protrae dal 2011, con un bilancio di oltre 250 mila morti. Giada Aquilino ha chiesto a mons. Zenari quale sia il senso di questo Natale in Siria, nell’Anno Santo della Misericordia:

R. – Qui direi che sia proprio il campo della misericordia a 360 gradi. Dar da mangiare agli affamati: pensiamo che ci sono circa 13 milioni di persone, più della metà della popolazione, che hanno bisogno di assistenza. Dar da bere agli assetati: secondo le statistiche, il 72 per cento della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Fino a seppellire i morti: magari in Europa non si pensa che sia un’opera di misericordia così particolare, ma alle volte anche seppellire i morti è un atto di coraggio in certe situazioni, quando si è sotto il tiro dei cecchini. In questo campo vasto della misericordia, possiamo dire che sono impegnati i cristiani, sono impegnate persone di ogni religione e anche persone non credenti.

D. – Dall’Onu, che nei giorni scorsi ha approvato una risoluzione per un cessate-il-fuoco in Siria, un governo di transizione in sei mesi ed elezioni entro un anno e mezzo, è arrivato anche un appello alle parti ad agevolare l’arrivo degli aiuti umanitari. Qual è la situazione sul terreno?

R. – Farei un accenno a come si vive il Natale in Siria. Nonostante ci si trovi in un Paese a maggioranza musulmana, circa il 90 per cento, è un giorno non lavorativo e quindi anche i nostri amici musulmani partecipano alla gioia del Natale. Da quello che ho visto in questi ultimi giorni e settimane, nonostante questo clima così pesante di guerra, c’è sempre una certa atmosfera del Natale. Ho ricevuto nei giorni scorsi molti inviti a partecipare a recital, ad inaugurazioni di presepi, di alberi di Natale. Domenica scorsa ero in una parrocchia rurale a sud di Homs e c’erano numerosi bambini delle elementari, delle medie, che intonavano canti natalizi, facevano scenette sulla nascita di Gesù. Fermandomi, però, più tardi con i loro genitori, con i loro nonni, la musica è cambiata: perché non c’è lavoro. Pensiamo che in Siria il 60 per cento della popolazione non ha lavoro e quattro famiglie su cinque, secondo le statistiche dell’Onu, vivono nella povertà. Questo Natale, vissuto da Maria e Giuseppe e dal Bambino Gesù, si ripete qui su larga scala, quando pensiamo che circa 12 milioni di siriani hanno dovuto abbandonare le loro case, in questi ultimi cinque anni. Una gran parte sono sfollati all’interno del Paese - circa 7 milioni -e quattro milioni nei Paesi vicini. E pensiamo a questa povertà, quando cantiamo “Tu scendi dalle stelle al freddo e al gelo”: tanti bambini in questi giorni nascono in accampamenti, sotto le tende o in case non riscaldate. Proprio qualche giorno fa una persona del nord-est della Siria mi ha fatto vedere delle foto veramente agghiaccianti di bambini denutriti: pensiamo ad un bambino di 3 anni e mezzo che pesa solo tre chili! Una situazione di povertà, di tragedia, di fame che si ripete, che alle volte non è proprio lontana da Damasco, da dove parlo attualmente: qui, a sei-sette chilometri, c’è una situazione più o meno simile, se pensiamo al cosiddetto campo palestinese di Yarmouk, con circa 4 mila civili asserragliati, da più di due anni, con i viveri che entrano con il contagocce, per non parlare dei medicinali, del materiale per il riscaldamento, del gasolio. E per non parlare della terribile tragedia, della strage degli innocenti: questi cinque anni di guerra in Siria hanno fatto più di diecimila morti tra i bambini. Bisogna fermare questa strage degli innocenti, come pure quella dei bambini morti in mare, mentre attraversavano con i loro genitori il Mediterraneo per andare nei Paesi europei.

D. – Un auspicio dalla Siria, in un contesto così difficile per i cristiani del Medio Oriente a Natale…

R. – Ci auguriamo che sia l’ultimo Natale vissuto in queste situazioni. E’ il quarto. Vogliamo sperare che questi germogli, che sono apparsi negli ultimi giorni, nelle ultime settimane, di una possibile uscita dalla crisi, possano fiorire: che l’anno prossimo, nei presepi di tutta la Siria, ci siano tanti rami di ulivo.

D. – Come sono state accolte le preghiere del Papa per una prosecuzione del dialogo ed una pace definitiva in Siria?

R. – Con molto rispetto. Direi che incoraggiano a proseguire sulla giusta strada.








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