2015-12-24 14:00:00

Natale in Turchia. Mons. Bizzeti: da periferie si vedono meglio sfide Vangelo


La piccola minoranza cristiana che vive in Turchia si appresta a vivere nella gioia il Natale. Le tensioni politiche si sono fatte più acute, ma tante sono le speranze di pace e riconciliazione, in particolare in occasione di questo Anno Santo della Misericordia. Antonella Palermo ne ha parlato con mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia:

R. – Nelle città ci sono degli addobbi, che noi chiameremmo “natalizi” – anche là, il consumismo ha cavalcato questi momenti. Però, sicuramente, i cristiani vivranno il Natale in una normale giornata di lavoro. Questa marginalità, in realtà è la marginalità anche del cristianesimo, fin da quando è nato.

D. – Come è stato per lei vivere l’inizio del Giubileo in questa terra, sulle orme di San Paolo?

R. – Ancora di più si comprende quanto sia urgente la riconciliazione, la misericordia, non soltanto come fatto religioso, ma proprio anche in tutta la sua dimensione civile, politica, culturale … San Paolo è un campione della riconciliazione; però, quello che San Paolo dice è: “Lasciatevi riconciliare da Dio”, cioè: lui vede la riconciliazione anzitutto come un’opera di Dio a cui noi dobbiamo acconsentire, più che il frutto di un nostro sforzo.

D. – E’ questo il modo in cui bisogna declinare questa parola, “misericordia”, in questa regione?

R. – Ogni gruppo sociale, ogni gruppo religioso prima di tutto deve riconoscersi complice del male, della violenza che c’è in circolazione. Proprio in una terra come la Turchia ci si rende conto di come il presente, appesantito da questo passato conflittuale che ha visto un po’ tutti protagonisti – la gente locale, ma anche le grandi potenze occidentali – ognuno ha lasciato un po’ il segno della sua violenza, dei suoi progetti di dominio …

D. – In fondo, l’intera Turchia può essere considerata una porta tra Oriente e Occidente; cosa implica questo, in termini di stabilità politica, di rapporti tra islam e altre fedi, tra profughi e autoctoni?

R. – Io vedo che la maggior parte, la stragrande maggioranza della gente sicuramente vuole la pace e accetta anche il pluralismo. Bisogna che questo, quindi, diventi anche un programma politico sempre più determinato, sempre più ricercato e perseguito in tutti i modi. E allora, ecco che la Turchia può tornare a essere una nazione che svolge un ruolo con un’autorità indiscutibile.

D. – Guardare il Papa che si decentra in continuazione, che sembra voler continuamente decentrare il Vaticano stesso, che decide di anticipare il Giubileo in Africa: che effetto le fa, ora che anche lei è stato chiamato a spostare il baricentro su un “altrove”, alle frontiere della cristianità, là dove si diceva sia in minoranza?

R. – La mia esperienza mi conferma che nelle periferie si comprendono meglio le sfide del Vangelo e anche quello che c’è di specifico nel cristianesimo: quando si è una piccola minoranza e si affermano valori come quelli del perdono, della misericordia, dell’accoglienza …

D. – “Vinci l’indifferenza, costruisci la pace”, è l'esortazione del messaggio per la Giornata mondiale della pace, che sarà celebrata il 1° gennaio 2016. Come risuonano in lei, queste parole, pensando alla forte instabilità nella regione?

R. – La pace la si costruisce attraverso un processo attivo; non può essere semplicemente il risultato di accordi di vertice. Io credo che noi corriamo due grandi rischi: il primo, quello dell’allarmismo e di una paura alimentata anche a volte dagli strumenti della grande comunicazione, che portano ad alzare muri a volte in modo ingiustificato; l’altro pericolo è quello di chi fa il callo a tutto quanto avviene e quindi scivola nell’indifferenza, nel fatalismo, nel pensare che non c’è niente da fare. Come si vince questa indifferenza, e come si costruisce la pace? Io direi, prima di tutto informandosi, conoscendosi, incontrandosi … Io concepisco anche il mio ministero episcopale come un’occasione per aiutare le comunità dell’Occidente a incontrarsi con quelle dell’Oriente turco, anche più ampiamente come un’occasione per far sì che questo popolo nostro italiano – e non solo – possa conoscere meglio il popolo turco, e viceversa.

D. – La nascita di Gesù ci invita a guardare con occhi di benedizione e ringraziamento tutte le altre buone notizie. In che senso la Turchia, oggi, è una buona notizia?

R. – I turchi sono un popolo giovane, le coppie sono felici di mettere al mondo dei bambini … quindi, per certi versi si respira un clima positivo, di speranza. C’è un ecumenismo di base molto forte, molto bello; c’è una generosità nell’accoglienza dei profughi; c’è un’umanità che ancora è capace di mettere da parte le paure, le divisioni di fronte a chi ha bisogno, di fronte a chi si trova in una situazione terribile come quella dei profughi dalla Siria e dall’Iraq.








All the contents on this site are copyrighted ©.