Vivere il Giubileo in famiglia
"Accogliere i forestieri" non è solo una delle opere di misericordia corporale che il Papa invita a riscoprire durante l'Anno Santo, ma, per una famiglia, può essere occasione per rafforzare la propria unità, crescendo umanamente e culturalmente. Lo confermano le testimonianze delle famiglie italiane che, grazie all'aiuto delle Caritas locali e della Fondazione Migrantes, hanno aperto le porte delle loro abitazioni a profughi e migranti, vivendo esperienze di condivisione all'insegna del dialogo interreligioso e interculturale. In questo Natale 2015, in occasione del Giubileo delle famiglie, in programma domenica 27 gennaio, siamo andati a scoprire le esperienze concrete di quelle famiglie che hanno trasformato la porta delle loro casa in una 'porta santa', aperta all'accoglienza di chi vive nel disagio e nella povertà.
Cervasca: "partecipare ai problemi del mondo"
Quella di Daniela Martini, residente a Cervasca, provincia di Cuneo, è da sempre una famiglia aperta, disponibile all'accoglienza. Grazie alla collaborazione della Caritas e della Migrantes della diocesi di Torino, la signora Daniela, il marito e i tre figli, hanno accolto in questi mesi cinque migranti africani. Un minore straniero non accompagnato, nato in Ghana, fuggito dalla Libia dove lavorava a causa della guerra, sopravvissuto a un naufragio dove il fratello aveva perso la vita, è stato il loro primo ospite. Oggi lavora con il cugino, anche lui giunto dall'Africa, presso l'azienda agricola della famiglia Martini. Altri tre ospiti sono: un giovane del Burkina Faso arrivato in Italia per cercare fortuna come calciatore e due profughi del Ghana e del Gambia. "Ci è sembrato giusto partecipare ai problemi del mondo", spiega la signora Martini. "Abbiamo vissuto felicemente insieme, una bellissima collaborazione. Quattro di loro erano musulmani, e io li accompagnavo in Moschea, un altro protestante. Loro pregavano per me e mentre io con la mia famiglia ero a Messa, loro ci preparavano il pranzo. "Una scelta al 90% di fede, fatta per mettere i nostri talenti a disposizione del Signore Gesù che nasce". "Se abbiamo dato dieci, posso dire che abbiamo ricevuto cento", spiega la padrona di casa. "Quando questi ragazzi si rendono conto di essere amati, rispondono a loro volta con l'amore". "Praticare la condivisione di usi e costumi diversi, il dialogo e la tolleranza fa crescere gli esseri umani".
Parma: "conoscere il diverso"
Giorgio Campanini è un professore universitario in pensione che ha superato gli ottantanni. Scrittore, sociologo della famiglia, vive a Parma, dove, grazie alla collaborazione della Caritas e del Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale (il Ciac) ha accolto in casa un profugo somalo di 25 anni. Fondamentale per lui è stato l'aiuto dei figli. "Ho voluto rispondere all'appello del Papa e dopo essere stato dichiarato idoneo ospito da un mese e mezzo Mursal, un ragazzo islamico rispettoso del cristianesimo, con alle spalle anni difficili di peregrinazioni tra l'Africa e l'Europa, alle prese prima con la guerra civile e poi con la ricerca di un lavoro e di una casa. "Con lui - spiega - ho imparato che non bisogna mai giudicare frettolosomente gli altri ed estendere a tutti i pregiudizi che non corrispondono alla realtà. Ho relativizzato certi modi di vedere occidentali. Ho conosciuto da vicino il diverso. Prima l'avevo conosciuto solo attraverso i libri, ora lo conosco nella vita concreta". "Credo che questo tempo di Natale sarà istruttivo anche per lui. Vedrà come una famiglia italiana celebra questa festività e supererà anche lui i suoi pregiudizi". "Questa esperienza mi ha fatto riflettere anche sulle responsabilità che l'Occidente ha per gli squilibri nel mondo e su quanto poco facciamo per accorciare le distanze", conclude il signor Giorgio. "Penso che la migliore propaganda all'apertura e alla lotta al razzismo sia proprio l'esperienza concreta dell'accoglienza".
Aversa: "non ospiti, ma figli"
Ad Aversa, provincia di Caserta, la famiglia di Diana Belluomo, grazie all'intervento della Caritas locale e della Comunità di Sant'Egidio, ha potuto ospitare in casa per sei mesi tre ragazzi senegalesi. Con uno di loro, Amed, è nata un'amicizia speciale che lo spinge a tornare spesso dalla sua 'famiglia italiana', come durante queste feste di Natale. "E' stata una scelta che abbiamo fatto tutti insieme con mio marito e i ragazzi", spiega la signora Diana. "Non abbiamo avuto nessun problema di convivenza. Abbiamo rispettato le loro esigenze: come il fatto che, come musulmani, dovessero pregare in casa o non mangiassero la carne di maiale". "Non volevo si sentissero ospiti e così li ho messi allo stesso livello dei miei figli. Ho cercato di abituarli alla nostra vita familiare, senza però imposizioni. Erano diventati parte della nostra famiglia e quando sono andati via ho pianto". "Con i miei figli è nata una grande amicizia". "Per noi è stata una scelta di fede. La volontà di stare vicino ai meno fortunati. Credo sia un'esperienza che tutte le famiglie dovrebbero fare. Non siamo stati noi a dare a loro, ma loro a darci tanto. Trascorerre il Natale con Amed è per noi una gioia grandissima".
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