2015-12-24 16:13:00

Giubileo: quando la porta di casa diventa 'porta santa'


Vivere il Giubileo in famiglia

"Accogliere i forestieri" non è solo una delle opere di misericordia corporale che il Papa invita a riscoprire durante l'Anno Santo, ma, per una famiglia, può essere occasione per rafforzare la propria unità, crescendo umanamente e culturalmente. Lo confermano le testimonianze delle famiglie italiane che, grazie all'aiuto delle Caritas locali e della Fondazione Migrantes, hanno aperto le porte delle loro abitazioni a profughi e migranti, vivendo esperienze di condivisione all'insegna del dialogo interreligioso e interculturale. In questo Natale 2015, in occasione del Giubileo delle famiglie, in programma domenica 27 gennaio, siamo andati a scoprire le esperienze concrete di quelle famiglie che hanno trasformato la porta delle loro casa in una 'porta santa', aperta all'accoglienza di chi vive nel disagio e nella povertà.  

Cervasca: "partecipare ai problemi del mondo"

Quella di Daniela Martini, residente a Cervasca, provincia di Cuneo, è da sempre una famiglia aperta, disponibile all'accoglienza. Grazie alla collaborazione della Caritas e della Migrantes della diocesi di Torino, la signora Daniela, il marito e i tre figli, hanno accolto in questi mesi cinque migranti africani.  Un minore straniero non accompagnato, nato in Ghana, fuggito dalla Libia dove lavorava a causa della guerra, sopravvissuto a un naufragio dove il fratello aveva perso la vita, è stato il loro primo ospite. Oggi lavora con il cugino, anche lui giunto dall'Africa, presso l'azienda agricola della famiglia Martini. Altri tre ospiti sono: un giovane del Burkina Faso arrivato in Italia per cercare fortuna come calciatore e due profughi del Ghana e del Gambia. "Ci è sembrato giusto partecipare ai problemi del mondo", spiega la signora Martini. "Abbiamo vissuto felicemente insieme, una bellissima collaborazione. Quattro di loro erano musulmani, e io li accompagnavo in Moschea, un altro protestante. Loro pregavano per me e mentre io con la mia famiglia ero a Messa, loro ci preparavano il pranzo. "Una scelta al 90% di fede, fatta per mettere i nostri talenti a disposizione del Signore Gesù che nasce". "Se abbiamo dato dieci, posso dire che abbiamo ricevuto cento"spiega la padrona di casa. "Quando questi ragazzi si rendono conto di essere amati, rispondono a loro volta con l'amore". "Praticare la condivisione di usi e costumi diversi, il dialogo e la tolleranza fa crescere gli esseri umani".       

Parma: "conoscere il diverso"

Giorgio Campanini è un professore universitario in pensione che ha superato gli ottantanni. Scrittore, sociologo della famiglia, vive a Parma, dove, grazie alla collaborazione della Caritas e del Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale (il Ciac) ha accolto in casa un profugo somalo di 25 anni. Fondamentale per lui è stato l'aiuto dei figli. "Ho voluto rispondere all'appello del Papa e dopo essere stato dichiarato idoneo ospito da un mese e mezzo Mursal, un ragazzo islamico rispettoso del cristianesimo, con alle spalle anni difficili di peregrinazioni tra l'Africa e l'Europa, alle prese prima con la guerra civile e poi con la ricerca di un lavoro e di una casa. "Con lui - spiega - ho imparato che non bisogna mai giudicare frettolosomente gli altri ed estendere a tutti i pregiudizi che non corrispondono alla realtà. Ho relativizzato certi modi di vedere occidentali. Ho conosciuto da vicino il diverso. Prima l'avevo conosciuto solo attraverso i libri, ora lo conosco nella vita concreta". "Credo che questo tempo di Natale sarà istruttivo anche per lui. Vedrà come una famiglia italiana celebra questa festività e supererà anche lui i suoi pregiudizi". "Questa esperienza mi ha fatto riflettere anche sulle responsabilità che l'Occidente ha per gli squilibri nel mondo e su quanto poco facciamo per accorciare le distanze", conclude il signor Giorgio. "Penso che la migliore propaganda all'apertura e alla lotta al razzismo sia proprio l'esperienza concreta dell'accoglienza".

Aversa: "non ospiti, ma figli"

Ad Aversa, provincia di Caserta, la famiglia di Diana Belluomo, grazie all'intervento della Caritas locale e della Comunità di Sant'Egidio, ha potuto ospitare in casa per sei mesi tre ragazzi senegalesi. Con uno di loro, Amed, è nata un'amicizia speciale che lo spinge a tornare spesso dalla sua 'famiglia italiana', come durante queste feste di Natale. "E' stata una scelta che abbiamo fatto tutti insieme con mio marito e i ragazzi", spiega la signora Diana. "Non abbiamo avuto nessun problema di convivenza. Abbiamo rispettato le loro esigenze: come il fatto che, come musulmani, dovessero pregare in casa o non mangiassero la carne di maiale". "Non volevo si sentissero ospiti e così li ho messi allo stesso livello dei miei figli. Ho cercato di abituarli alla nostra vita familiare, senza però imposizioni. Erano diventati parte della nostra famiglia e quando sono andati via ho pianto". "Con i miei figli è nata una grande amicizia". "Per noi è stata una scelta di fede. La volontà di stare vicino ai meno fortunati. Credo sia un'esperienza che tutte le famiglie dovrebbero fare. Non siamo stati noi a dare a loro, ma loro a darci tanto. Trascorerre il Natale con Amed è per noi una gioia grandissima".  








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