2015-12-24 13:46:00

Da Amnesty le buone notizie sui diritti umani del 2015


Condannati a morte salvati dall’esecuzione, progressi verso la fine dell’impunità: sono alcune delle buone notizie del 2015 che Amnesty International ci presenta in occasione della fine dell’anno. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

Ci sono comunità, in Africa, risarcite dalle multinazionali per danni ambientali, c’è il rilascio di prigionieri di coscienza, così come nuovi passi in avanti verso l’abolizione della pena di morte. Le buone notizie del 2015 nel campo della difesa dei diritti umani sono ancora una volta inserite in una lista che, come ogni fine anno, ci presenta Amnesty International, confortata dai successi che questi traguardi rappresentano. L’elenco ci dice che la pena capitale ha subito sconfitte quest’anno in Suriname, dove il 6 marzo scorso è stata approvata la legge che la abolisce, e poi in luglio in Belize, dove l’ultimo uomo in attesa di esecuzione nel braccio della morte ha visto commutare la sua condanna. Riccardo Noury, portavoce e direttore della comunicazione di Amnesty Italia:

“Ogni anno è vero che aumenta il numero dei Paesi abolizionisti ed è particolarmente importante sottolinearlo quest’anno, nel 2015, in cui abbiamo assistito a 12 mesi terribili di uso della pena capitale in Arabia Saudita, in Pakistan, in Iran, dove saremo arrivati alle 1000 esecuzioni il 31 dicembre. Ma nonostante questo il numero dei Paesi abolizionisti aumenta, abbiamo superato quella soglia importante dei 100 Paesi con Suriname, Belize, e poi da ultimo anche con la Mongolia (il Parlamento in dicembre ha approvato il nuovo Codice penale che non prevede la pena di morte, entrerà in vigore nel 2016 ndr). Siamo a 104 Paesi abolizionisti e il numero di quelli che la applicano ancora è costante intorno alla ventina. Però quante esecuzioni ci sono in questi Paesi è ancora uno scandalo globale".

Merito dell’azione di Amnesty è soprattutto quello di far conoscere casi di violazione dei diritti umani totalmente ignorati dalla comunità internazionale, facendo così luce su realtà rimaste taciute, come quella di Filep Karma, rimesso in libertà il 19 novembre scorso. Ancora Noury:

"I governi che violano i diritti umani hanno come loro "colonna sonora" il silenzio da parte dei mezzi di informazione, da parte dell’opinione pubblica che non viene a conoscenza di quanto accade in una larga parte del mondo. E quindi scopriamo che ci sono Paesi come l’Indonesia nei quali sventolare le bandiere dei vari movimenti indipendentisti è un reato, comporta anni di carcere ma Amnesty International, nel caso di Filep Karma, ha attivato la sua rete, la sua mobilitazione, i suoi metodi consueti di invio di firme, petizioni, manifestazioni e siamo riusciti, dopo 10 dei 15 anni di condanna che gli erano stati inflitti, a far rilasciare questo attivista per l’indipendenza di Papua. La buona notizia è che quei 5 anni che doveva scontare ancora li passerà per fortuna a casa, ma la brutta notizia è che ha dovuto trascorrere 10 anni in carcere e non avrebbe dovuto passarci neanche un secondo".

Shaker Hamer, cittadino saudita con residenza nel Regno Unito è stato liberato il 30 ottobre scorso, dopo 13 anni di prigionia nel centro di detenzione di Guantanamo. L’uomo era stato arrestato in Afghanistan nel 2002 e imprigionato senza una formale accusa e tantomeno un processo:

"E’ la conferma, intanto, che il sistema di Guantanamo non ha funzionato perché il numero delle persone che sono state rilasciate, o che saranno rilasciate perché giudicate quantomeno non colpevoli dei fatti per i quali erano state arrestate, è superiore al 90 per cento del totale della popolazione carceraria che dal 2002 è finita in quel centro di detenzione. Però non si riesce a ottenere la chiusura del centro, a causa di un meccanismo di ‘scaricabarile’ per cui il presidente Obama accusa il Congresso, il Congresso accusa qualcun altro e, alla fine, questo obbrobrio dal punto di vista giuridico rimane, con ancora 111 detenuti all’interno. Devo anche dire che di questi 111 detenuti provengono da Paesi come lo Yemen nei quali oggi come oggi non ci sono le condizioni perché possano essere rimpatriati in condizioni di sicurezza, e questo è un ulteriore ostacolo alla chiusura di Guantanamo".

Molte persone finirono a Guantanamo a causa dei devastanti effetti della guerra al terrore aperta dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, e condotta in prima linea dagli Stati Uniti. Oggi ci si domanda se con i sanguinosi attentati del 2015 si rischi di nuovo di cadere in drammatiche ingiustizie:

"Di sicuro di diverso, rispetto al post 2001, c’è una maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica e anche da parte di alcuni organi di informazione, sulla necessità che non si scenda di nuovo sul terreno che è l’unico che conoscono i gruppi armati, cioè quello della violazione, dell’abuso, del terrore, contro il terrorismo. Però devo dire che qualcosa ricorda purtroppo quel periodo se confrontato a oggi, perché stiamo rivedendo in alcuni Paesi come la Tunisia e la Francia, quelli più colpiti, questo ossimoro dell’emergenza permanente. Io credo che il futuro della Francia, con questa proposta governativa di modificare la Costituzione, proprio per rendere l’emergenza una soluzione possibilmente a tempo indeterminato, ci stia riportando verso quel periodo di eccezione e di eccezionalità rispetto alla tutela dei diritti umani che vede quei diritti come un ostacolo alla sicurezza. E sappiamo, l’esperienza ce lo ha insegnato, che per una sicurezza autentica, i diritti umani devono essere il primo obiettivo, la cosa che più deve essere tutelata".  

Il 2015 è stato un brutto anno per i diritti umani, è purtroppo la conclusione alla quale si giunge, resta però un anno importante in cui opinione pubblica e mezzi di informazione, attraverso anche le campagne di Amnesty International, “hanno dato forza – spiega Noury - a una mobilitazione che ha favorito tante cose belle”:

"Queste buone notizie sono una piccolissima parte delle belle notizie che Amnesty International ha raccolto durante l’anno. E voglio dire che quando con una mobilitazione, che magari può durare anni, con milioni di persone che mandano un appello alla stessa autorità di governo, si ottiene un risultato è la conferma del principio che ispirò il fondatore di Amnesty International nel 1961, e cioè che quando le persone si arrabbiano da sole non cambia nulla, quando si arrabbiano in tante, la loro indignazione può provocare un cambiamento".

E’ sul sito Amnesty.it che si possono trovare tutte le altre migliori buone notizie sui diritti umani del 2015.








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