2015-12-23 11:52:00

In Iraq forze governative alle porte di Ramadi, in mano a Is


In Iraq, dopo un'offensiva durata già diversi mesi, le forze governative hanno lanciato un attacco da più direzioni su Ramadi. Avanzano verso il centro della città che dal maggio scorso è nelle mani del sedicente Stato Islamico. Intanto nella vicina Siria un bombardamento dell’Is, a colpi di mortaio su una scuola elementare, ha provocato la morte di nove bambine e il ferimento di altre venti. Ma per capire se davvero l’Is è in difficoltà in Iraq, Fausta Speranza ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:

R. – Ci sono dei dati che sembrano confermarlo. A quanto pare, nel corso di questo 2015, il sedicente Stato Islamico ha perduto una porzione significativa dei territori che controllava: si parla più o meno di un 15 %.

D. – In questo ridimensionamento dei miliziani del sedicente Stato Islamico chi sono i protagonisti?

R. – Un ruolo significativo, forse quello più importante, lo stanno giocando proprio i curdi siriani i quali hanno contro di loro la Turchia, ma sono variamente appoggiati sia dagli Stati Uniti, cui debbono il successo della resistenza a Kobane, che dalla Federazione Russa, seppure in misura minore. Io credo che il successo riportato sul campo dai curdi siriani porrà a tempo debito, a medio termine, il problema di che forma di statualità riconoscere ai curdi. Forse non nascerà mai un grande Stato curdo, ma una forte forma di autonomia in Siria e in Iraq, secondo me, può preludere anche a una forma di indipendenza futura. E diciamocelo francamente: sarebbe anche ora, perché ai curdi uno Stato è stato promesso fin dalla fine della Prima Guerra Mondiale e stanno ancora lì, alla mercè di chi comanda nei quattro Stati in cui sono dispersi.

D. – Ci porta a parlare del vicino conflitto in Siria: c’è una risposta in qualche modo contro l’Is che coinvolge tutti e due i Paesi o sono realtà, da questo punto di vista, molto diverse?

R. – Non è che siano realtà diverse, però la situazione in Iraq è leggermente differente da quella in Siria. In Siria l’Is è parte di una guerra civile straordinariamente intensa che ha molti attori protagonisti, mentre invece in Iraq la situazione è relativamente più chiara, più semplice e delineata. Né, d’altra parte, l’Is nella parte irachena pone lo stesso tipo di sfide come dal lato siriano, anche dal punto di vista della logistica, del tipo di messaggio che viene dato. Cerco di spiegarmi: è soprattutto in Siria che noi abbiamo visto l’Is proporsi nelle vesti di un erogatore di servizi, di un dispensatore di welfare e quant’altro, adottando un modello molto simile a quello di Hamas o a quello della Fratellanza Musulmana. Mentre invece, fintantoché era rimasto circoscritto all’Iraq, l’Is operava e sta operando soprattutto come organismo di autodifesa dei sunniti rispetto alle presunte prevaricazioni del potere centrale iracheno a Baghdad che è nelle mani degli sciiti.

D. – Che dire altro di un Paese – l’Iraq – che vive violenza praticamente dal 1991?

R. – Dove non ci sono Stati consolidati, la fine delle dittature crea alle volte violenze e turbolenze maggiori dei crimini di cui queste dittature si macchiavano. Con tutta probabilità, forse una forma di federalismo, se non addirittura la frammentazione dell’Iraq in almeno due se non tre Stati, avrebbe permesso di evitare il bagno di sangue che si è verificato. Dovremmo pensarci di più quando consideriamo le frontiere esistenti come qualche cosa di intoccabile. È naturale che gli Stati sovrani cerchino anche, a livello di comunità internazionale, di rendere immutabili ed eterni i confini, ma alle volte non è detto che questa sia la soluzione migliore.








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