2015-12-21 14:03:00

Il Papa elenca le 24 virtù necessarie per chi lavora nella Curia


Dalla “missionarietà e pastoralità” alla “affidabilità e sobrietà”, passando per rispetto, fedeltà, sagacia, prontezza, onestà e molte altre ancora. È il lungo elenco delle “virtù” che Papa Francesco ritiene “necessarie” per chi lavora accanto al Successore di Pietro. La loro spiegazione è stata il fulcro della tradizionale udienza ai membri della Curia Romana per gli auguri di Natale. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Gli “antibiotici”, dopo le malattie. Dodici, anzi ventiquattro, “virtù necessarie” per “chi presta servizio in Curia”. Un anno dopo, Papa Francesco ribalta la prospettiva e gli auguri ai suoi primi collaboratori diventano la presentazione non più di ciò che rende una controtestimonianza il servizio ai vertici della Chiesa, ma di quello che è imprescindibile per renderlo autentico e credibile.

Lo scandalo non cancella l’impegno
Francesco – che pronuncia il suo discorso da seduto in Sala Clementina, scusandosi con i cardinali per l’influenza che lo costringe a questa "scortesia" – ricorda che il “catalogo delle malattie curiali” in realtà riguarda la comunità cristiana a ogni livello e riconosce che anche quest’anno “alcune” di queste malattie “si sono manifestate” ferendo “molte anime”. La riforma, afferma, “andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza” e assicura:

“Le malattie e perfino gli scandali non potranno nascondere l’efficienza dei servizi, che la Curia Romana con fatica, con responsabilità, con impegno e dedizione rende al Papa e a tutta la Chiesa, e questa è una vera consolazione”.

Le virtù del Buon pastore
Il grazie di Francesco è diretto, dice, “a tutte le persone sane e oneste che lavorano con dedizione, devozione, fedeltà e professionalità”, sostenendo con la loro “solidarietà e obbedienza” la missione del Papa e della Chiesa. Anzi, osserva, proprio le “cadute delle persone e dei ministri” sono “occasioni di crescita” per “tornare all’essenziale” che chiede l’Anno Santo della Misericordia. E proprio la parola cardine del Giubileo viene utilizzata in forma di acrostico dal Papa, ogni iniziale a ispirare una coppia di virtù, a cominciare da “missionarietà e pastoralità”.

“La missionarietà è ciò che rende, e mostra, la Curia fertile e feconda; è la prova dell’efficacia, dell’efficienza e dell’autenticità del nostro operare (...) La pastoralità sana è una virtù indispensabile specialmente per ogni sacerdote. È l’impegno quotidiano di seguire il Buon Pastore, che si prende cura delle sue pecorelle e dà la sua vita per salvare la vita degli altri”.

L’idoneità nemica delle tangenti
Seconda coppia individuata dal Papa è quella composta dall’“idoneità” e dalla “sagacia”:

“L’idoneità richiede lo sforzo personale di acquistare i requisiti necessari e richiesti per esercitare al meglio i propri compiti e attività, con l’intelletto e l’intuizione. Essa è contro le raccomandazioni e le tangenti. La sagacia è la prontezza di mente per comprendere e affrontare le situazioni con saggezza e creatività”.

Umani e non robot
La terza coppia di virtù si impernia sulla “spiritualità” – “colonna portante”, afferma, “di qualsiasi servizio nella Chiesa e nella vita cristiana” – e sulla “umanità”:

“L’umanità è ciò che ci rende diversi dalle macchine e dai robot che non sentono e non si commuovono. Quando ci risulta difficile piangere seriamente o ridere appassionatamente sono due segni allora è iniziato il nostro declino e il nostro processo di trasformazione da “uomini” a qualcos’altro. L’umanità è il saper mostrare tenerezza e familiarità e cortesia con tutti”.

Razionali, amabili, determinati, onesti
Francesco esorta quindi all’“esemplarità” – per “evitare – ripete – gli scandali che feriscono le anime e minacciano la credibilità della nostra testimonianza” – e alla “fedeltà” alla propria consacrazione e vocazione. Fondamentali, prosegue, sono anche la “razionalità” che salva dagli “eccessi emotivi” e l’“amabilità” che evita “gli eccessi della burocrazia, delle programmazioni e pianificazioni. E ancora, l’“innocuità” che – sostiene il Papa – “ci rende cauti nel giudizio” affrettato accompagnata dalla “determinazione” che invece spinge ad agire “con volontà risoluta” in “obbedienza a Dio”. Francesco enuncia poi “carità e verità” – la prima senza la seconda ridotta a “ideologia del buonismo distruttivo” e la seconda senza la prima trasformata in “giudiziarismo cieco” – per arrivare all’“onestà e maturità”:

“Chi è onesto non agisce rettamente soltanto sotto lo sguardo del sorvegliante o del superiore; l’onesto non teme di essere sorpreso, perché non inganna mai colui che si fida di lui. L’onesto non spadroneggia mai sulle persone o sulle cose che gli sono state affidate da amministrare, come fa il ‘servo malvagio’. L’onestà è la base su cui poggiano tutte le altre qualità”.

Al proprio posto
Il Papa si scusa con simpatia “per il vizio dei neologismi” che conia in quantità, come quella che definisce la “rispettosità” in coppia con l’“umiltà”:

“La rispettosità è la dote delle anime nobili e delicate; delle persone che cercano sempre di dimostrare rispetto autentico agli altri, avere giusta considerazione degli altri, al proprio ruolo, ai superiori e ai subordinati, alle pratiche, alle carte, al segreto e alla riservatezza; le persone che sanno ascoltare attentamente e parlare educatamente”.

Il valore della sobrietà
“Impavidità e prontezza” sono le virtù che contrastano la paura delle difficoltà e spronano ad “agire con audacia”, “con libertà e agilità”. L’ultima, ma non ultima, coppia che Francesco fa scaturire dalla parola “misericordia” riguarda “affidabilità e sobrietà”. “Affidabile – nota – è colui che sa mantenere gli impegni con serietà e attendibilità quando è osservato ma soprattutto quando si trova solo”. Sobrio è chi unisce “prudenza, semplicità, essenzialità, equilibrio e temperanza”:

“La sobrietà è guardare il mondo con gli occhi di Dio e con lo sguardo dei poveri e dalla parte dei poveri. La sobrietà è uno stile di vita che indica il primato dell’altro come principio gerarchico ed esprime l’esistenza come premura e servizio verso gli altri. Chi è sobrio è una persona coerente ed essenziale in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare e vivere con il senso della misura”.

“Siamo servitori, non messia”
Francesco fa precedere gli auguri finali dalla citazione di una preghiera attribuita al Beato mons. Romero ma pronunciata per la prima volta dal cardinale di Detroit, John Dearden. Una preghiera che sottolinea come il Regno di Dio sia “oltre i nostri sforzi” e “oltre le nostre visioni”:

“Può darsi che mai vedremo il suo compimento,
ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.
Siamo manovali, non capomastri,
servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene”.








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