2015-12-20 13:00:00

Giornata handicap mentale: necessari più ricerca e attenzione


Questa domenica ricorre la Giornata dell’handicap mentale promossa dall’Onu. La Giornata, quest'anno è la 44.ma, è stata istituita il 20 dicembre 1971 in occasione della Dichiarazione sulla tutela dei diritti di queste persone in cui si afferma che il disabile mentale "deve godere in tutta la misura possibile degli stessi diritti degli altri esseri umani”. La realtà è che, a livello globale, migliaia di persone con problemi di salute mentale sono private della propria dignità, vengono discriminate e marginalizzate e non hanno accesso a trattamenti di cura. In Italia disturbi psichici di vario tipo colpiscono il 20 per cento della popolazione e la richiesta di assistenza in aumento spesso non trova risposta. Adriana Masotti ne ha parlato con fratel Marco Fabello, direttore dell’Istituto Psichiatrico San Giovanni di Dio a Brescia:

R. – Diciamo subito che le persone che soffrono di questa malattia mentale, che sia un handicap o una forma psichiatrica prevalente, molte volte ricadono sotto il carico familiare e le famiglie vivono il vero problema di questa situazione. E’ notorio che la psichiatria, la malattia mentale, in Italia è la cenerentola della medicina: lo era 20 anni fa e lo è ancora oggi! Non si capisce bene perché non ci si metta lo stesso impegno che si mette nelle malattie tumorali o in altri generi di malattie. Ci sono pochissime realtà che fanno ricerca in questo ambito e recentemente questa ricerca è anche stata fortemente tagliata.

D. – Ci sono delle ragioni, secondo lei? La difficoltà della materia o perché non interessa – diciamo – nessuno?

R. – Metterei insieme le due cose: la difficoltà della materia certamente, ma anche il fatto che è una malattia, è una forma di malattia che fa paura e dalla quale si sta abbastanza lontani. Lei noterà che ci sono moltissime associazioni che fanno raccolta fondi, ad esempio, per la leucemia, per un tumore o per altro, ma non si sente parlare mai di raccolta fondi per l’handicap mentale. Questo dà anche il senso di cosa pensa la gente e di come peraltro la gente è portata a  pensare.

D. – E’ vero, però, che alcune forme di malattia mentale possono anche costituire un pericolo per gli altri: vediamo che ci sono dei casi di violenza sui familiari…

R. – Certamente, però accanto a questi casi di violenza familiare dovuti alla malattia, ci sono altrettanti casi di violenza familiare dovuta ad altre cause. Quando capitano questi fatti gravi si dice sempre che sono o che erano dei malati: ma diventano malati soltanto nel momento in cui fanno quel gesto? La domanda che mi pongo io è se davvero non si enfatizzano troppo – anche nell’ambito della stampa e dei mass media – certi fatti, che poi finiscono per essere deleteri nell’opinione pubblica, facendoli diventare tutti colpa della malattia mentale…E’ un errore! Perché non è così e perché così si alimenta lo stigma.

D. – Abbiamo parlato della ricerca che non è sufficiente. Per quanto riguarda, invece, l’assistenza da parte della struttura pubblica, a che punto siamo?

R. – Siamo al punto di deficienza, che denota tutto il settore della malattia mentale. Anche qui la macchia di leopardo c’è in Italia, vanno meglio le cose al Nord, ma anche al Nord ci sono famiglie che lamentano situazioni di gravi difficoltà. Bisognerebbe, forse, che si provvedesse ad una diversa organizzazione del lavoro sul territorio, anche liberalizzando un po’ il sistema che, in questo momento, è totalmente statalizzato, regionalizzato e che non consente una concorrenza utile e leale tra un pezzettino di privato che potrebbe spingere il pubblico a fare meglio.

D. – Quindi ricordare - come vuole fare questa Giornata - il fatto che l’handicappato mentale deve godere degli stessi diritti è più che mai importante, visto che così non è…

R. – I suoi diritti il malato non li gode! Il malato mentale – per esempio – è l’unico che non può scegliere il luogo di cura o che non ha la libertà di movimento. Si va dalla mancanza dei diritti più piccoli a quelli più alti. Essere capaci di comprarsi un paio di scarpe, poter decidere di andare a vedere una mostra, un museo o andare in città a vedere un film: anche queste piccole cose o grandi cose, a volte, sono negate. Mi piacerebbe concludere con un riferimento a quanto la Chiesa fa in questo contesto, perché la Chiesa è forse l’organismo che ha più cura di queste persone, che cerca di garantire loro quello di cui hanno più bisogno, come – ad esempio – la possibilità di esprimere la propria fede. In tante realtà pubbliche non se ne parla neanche! Non c’è una presenza di un sacerdote o di qualcuno che possa portare un po’ di speranza… La fede è speranza. A Natale mi sembra che questa sarebbe una buona considerazione da farsi riguardo anche ai diritti di queste persone.








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