2015-12-20 13:00:00

Burundi: intervento dell'Unione Africana contro le violenze


Sempre drammatica situazione in Burundi, scatenata dalle proteste per la terza candidatura alla presidenza di Pierre Nkurunziza. La Chiesa locale auspica riconciliazione e dialogo, per un processo di reale democratizzazione. Intanto l’Unione Africana ha annunciato l’invio di 5 mila uomini per far fronte alle continue violenze che hanno causato decine di vittime negli ultimi giorni, soprattutto nella capitale Bujumbura. Giancarlo La Vella ne ha parlato con un’operatrice umanitaria della Fondazione Avsi, impegnata in Burundi:

R. – La preoccupazione è grande. È una crisi che dura da quasi otto mesi e adesso in certi quartieri, dove durante il mese di maggio e giugno sono state fatte le manifestazioni contro il terzo mandato di Nkurunziza, essere un giovane uomo è veramente pericolosissimo. Molti sono già andati all’estero. C'è da ricordare che sono 200.000 i rifugiati burundesi: un numero molto alto.

D. – L’Unione Africana ha annunciato l’invio di 5000 uomini: può risolvere qualcosa questo intervento?

R. – Da parte della popolazione civile questo annuncio è stato recepito con gioia, perché può essere veramente per il momento una soluzione per assicurare una vita meno drammatica alle persone civili, soprattutto nei quartieri più difficili. Si spera che proprio questa forza militare di pace possa anche favorire il disarmo, perché il grosso problema è anche il fatto che adesso stanno circolando armi, non solo a livello di polizia e di esercito, ma anche tra la popolazione civile.

D. – Nel Paese ci sono ancora le conseguenze della guerra civile di qualche anno fa: c’è il timore che si arrivi a quegli eccessi ancora una volta?

R. – Sicuramente il fatto di non aver messo ancora in piedi una commissione per la riconciliazione, quello che era stato fatto durante la guerra civile ma anche durante i massacri del 1972, questo è sicuramente fonte ancora di problemi. Le persone sono veramente stufe della guerra e vogliono solo essere tranquille, o comunque avere delle condizioni migliori di vita. Ricordiamo infatti che il Burundi nel 2015 è stato classificato dal Fondo Monetario Internazionale come il Paese più povero al mondo e il tasso di crescita è di -7.2%. Questa crisi politica ha fatto nascere una gravissima crisi economica e le conseguenze saranno disastrose anche nel 2016. È sicuramente necessario riprendere il dialogo, che però, per il momento, appare abbastanza bloccato. Anche l’Unione Europea ha dato un segnale per la ripresa del dialogo internazionale sotto la mediazione dell'Uganda. E solo alcune settimane fa l’appello dei vescovi del Burundi è stato quello di riprendere il dialogo per superare questa crisi.








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