2015-12-18 14:00:00

Firmata intesa sulla Libia, nuovo governo entro 40 giorni


È stato firmato a Skhirat, in Marocco,  l’accordo sulla Libia per formare un governo di riconciliazione nazionale che s’insedierà entro 40 giorni e porterà in un anno all’approvazione di una nuova Costituzione sottoposta a referendum popolare e a nuove elezioni. Un’intesa accolta come “storica” da molti come gli Stati Unite e l’Onu, con la soddisfazione espressa dal segretario generale Ban Ki-moon. Ma è davvero così? Roberta Barbi lo ha chiesto a Paolo Sensini, storico e autore dei libri "Libia 2011"’ e "Divide et Impera-Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente":

R. – Già il fatto che sia stato firmato in Marocco dà l’idea di qual è il livello di credibilità: non lo si è neppure potuto fare in Libia perché di fatto non ha l’appoggio di nessuno. Non ha l’appoggio dei due governi, dei due parlamenti - a Tobruk e a Tripoli - non ha l’appoggio delle milizie, sostanzialmente non ha l’appoggio delle milizie, e si erano incontrati i presidenti dei due rami, dei due parlamenti. Questo tentativo di accordo che vuole insediare un Consiglio presidenziale incaricato di formare un governo di accordo nazionale è voluto solo dall’Onu, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, e l’Italia che si è accodata.

D.  – I firmatari dell’accordo infatti non avevano il mandato dei rispettivi parlamenti antagonisti. Il presidente del parlamento di Tobruk sembra anche che l’abbia già definito “incostituzionale”…

R. – Non ha l’appoggio di nessuno, di nessuna milizia, di nessun gruppo - che sono poi quelle che dettano legge sul terreno - nasce già come una specie di governo “morto” e viene utilizzato come una specie di cavallo di Troia da parte dell’Onu e dei Paesi che hanno dato vita alle risoluzioni, per poterlo poi insediare e avere una parvenza di legittimità in funzione di un intervento internazionale militare, che nessuno di questi governi attualmente presenti, richiede e vuole.

D. – Il grande assente in Marocco è stato l’attuale capo delle forze armate libiche, il generale Haftar, appoggiato da Egitto e Arabia Saudita…

R. – È un’alchimia che serve solamente alle Nazioni Unite per tentare di bypassare questi due governi – questi due governi a livello ufficiale perché poi in realtà ce ne sono molti di più e coincidono con le milizie disseminate sul territorio - e quindi avere una scusa per bloccare le esportazioni di petrolio, chiamare le forze internazionali di cui teoricamente l’Italia dovrebbe essere a capo, ma che però non ha avuto né l’appoggio di Khalifa Haftar neppure di Alba libica, a Tripoli. Nasce di fatto come una specie di governo figlio di nessuno, se non dei Paesi che all’inizio hanno cominciato questo intervento militare con una risoluzione Onu che non contemplava assolutamente quello che è stato fatto - cioè, non contemplava i bombardamenti che sono stati fatti sulla Libia, ma solo una “no-fly zone” - e che in virtù di questa “responsibility to protect”, che è stata invocata per giustificare l’intervento, ha ridotto la Libia in questo modo e ha creato un focolaio di instabilità che solo degli illusi possono pensare di risolvere attraverso un governo creato in questo modo.

D. - Molti sono ancora i nodi da sciogliere, ad esempio la rivalità fra le tribù. Designare rappresentanti da Tripolitania, Cirenaica, piuttosto che dal Fezzan, può essere la soluzione?

R. – Non credo. Questo è un modo per propiziare un intervento militare sul terreno che ormai viene reso necessario perché la situazione di instabilità è talmente alta sia sul terreno sia per quanto riguarda anche l’immigrazione che viene gestita, questi flussi enormi da cui poi le milizie jihadiste e non solo traggono i loro maggiori finanziamenti. Non sarà assolutamente facile tentare di ricreare quell’equilibrio problematico, con tante questioni aperte e tanti lati oscuri, che vi era durante il periodo di Gheddafi, ma certamente questa non è la strada e già le premesse sono tutte chiare: nel momento in cui tutte le milizie e tutti i gruppi, gli stessi interessati, ripudiano questo accordo, quali premesse ci possono essere?

D. – Tra le sfide che il nuovo esecutivo dovrà affrontare c’è quella della costituzione da approvare con il referendum popolare e poi quella delle elezioni?

R. -  Proveranno a farlo, poi che ci riescano è tutto un altro paio di maniche.

D. - Il processo di normalizzazione della Libia come influenzerà la lotta allo Stato islamico e la problematica delle migrazioni?

R.  – È stato fatto il tentativo di un accordo proprio per intervenire su questo piano: cercare di porre argine allo Stato islamico e a tutta quella galassia di gruppuscoli islamisti che non sono spuntati ieri o l’altro ieri, ma che sono presenti addirittura già da prima che venisse tolto di mezzo Gheddafi e che sono poi, di fatto, quelli che hanno dato vita alla rivolta in Cirenaica. È una presenza che è cresciuta gradualmente sempre di più nel corso del tempo e che oggi si cerca di affrontare attraverso questo tentativo di insediamento di un governo.








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