2015-12-17 14:22:00

Terrorismo. Climati: la comunicazione non alimenti paure e muri


Il terrorismo fa paura, ma non si deve alimentare lo scontro e la costruzione di muri. Così Carlo Climati, direttore del laboratorio di comunicazione, giunto alla terza edizione, “Non sei un nemico” dell’Università Europea di Roma. La sfida della comunicazione – sottolinea – Climati è non cedere al linguaggio dei toni esasperati e aggressivi. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

R. - Il laboratorio di comunicazione “Non sei un nemico” è un’iniziativa che fa parte delle nostre attività di responsabilità sociale. Proponiamo non solo una formazione professionale, ma anche umana invitiamo a creare la cultura dell’incontro di cui ha sempre parlato Papa Francesco. Una cultura del dialogo, una riscoperta degli altri in modo amichevole: non vedere mai nell’altro un nemico e considerare ogni essere umano una persona con cui si può dialogare, quindi abbattere muri e pregiudizi.

D. - In un momento dove il terrorismo è sulle prime pagine di giornali, tv, radio, voi analizzate questi media: che messaggio date?

R. – Il messaggio che diamo è che la comunicazione deve essere una comunicazione serena. E’ facile, in un momento come questo, usare titoli che hanno in sé una grande violenza. Nel mondo della comunicazione c’è una tendenza a creare contrapposizione. Ci sono testate che, ad esempio, creano la paura dell’islam, altre creano la paura degli immigrati e così si compie una generalizzazione, una banalizzazione tremenda. Dobbiamo lavorare sul nostro linguaggio, educarci, sforzarci. Questo è un lavoro educativo molto importante.

D.  – Non si corre il rischio di essere buonisti?

R. – Il buonismo è l’estremo opposto. Non dobbiamo perdere le nostre idee, non dobbiamo perdere la nostra identità, non dobbiamo diventare buonisti. Ma la bellezza è proprio questa: mantenere le nostre idee, sostenerle, portarle, offrirle attraverso lo strumento della serenità e del dialogo.

D. – Quindi raccontare una cronaca anche dura però stando attenti a non creare contrapposizioni?

R. – Penso che sia possibile fare del buon giornalismo, fare una buona comunicazione televisiva, radiofonica... Penso che sia possibile scrivere nei social network cercando di educarsi a questa cultura delle serenità: cioè, si può dire tutto, è possibile dire tutto ma bisogna farlo senza istillare odio.

D. – Analizzate anche il mondo dei social network, quali sono le sfide?

R. – Nei social network ci sono tantissime sfide perché in qualche modo tutti quanti diventiamo giornalisti nel senso che abbiamo a disposizione tanti strumenti e spesso siamo impulsivi, spesso siamo aggressivi. E quindi anche qui dobbiamo sforzarci, dobbiamo imparare a capire che questi strumenti di comunicazione straordinari, i social network, sono grandi opportunità di dialogo, ma non devono diventare modi per sfogare quella che è la nostra rabbia, oppure per creare dei gruppi di azione che vanno contro qualcun altro. Penso che la parola “contro” non debba esistere nel nostro vocabolario. Tutto quello che facciamo dobbiamo farlo “per”, per costruire, essere persone aperte, persone che tracciano ponti, anche di comunicazione. Questa è la sfida e l’obiettivo del laboratorio all’Università Europea di Roma.

 








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