2015-12-17 07:15:00

Rialzo tassi in Usa: chiusa l'era del denaro a costo zero


Negli Stati Uniti, chiusa l’era del denaro a costo zero, iniziata nel 2008 con la crisi finanziaria. La Fed ha rialzato i tassi di interesse di un quarto di punto. L'aumento ''moderato'' dei tassi ''riconosce i progressi dell'economia'', afferma la presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, sottolineando che la mossa mette fine a una ''fase straordinaria'' della politica  monetaria. L’ultimo rialzo dei tassi risale al 2006. Poi dopo lo scoppio della crisi, nel 2008, esattamente il 16 dicembre, il costo del denaro viene portato ai minimi storici. Alla guida della Banca centrale Usa c'è Ben Bernanke, che lega il suo nome alle misure non convenzionali adottate contro la crisi e al salvataggio dell’economia statunitense: oltre al taglio dei tassi, tre programmi di quantitative easing. Oggi, si annunciano altri rialzi di un quarto di punto nel prossimo anno. Ma si può davvero parlare di un segnale frutto della ripresa economica negli Stati Uniti? Fausta Speranza l'ha chiesto a Carlo Altomonte, docente di Politiche economiche all'Università Bocconi:

R. – Sì, sostanzialmente sì. L’annuncio del rialzo dei tassi Fed toglie incertezza ad una fase di politica monetaria americana: ci si aspettava già a settembre un rialzo dei tassi, che poi non c’è stato alla luce di incertezze sul fronte dell’economia internazionale. Quindi, dicembre viene visto come segnale che probabilmente le cose non sono poi così male e allora le Borse reagiscono.

D. – Che cosa dire di questo periodo: dal 2008 non c’era stato alcun rialzo?

R. – Si tratta di un periodo straordinario di politica monetaria quello che abbiamo visto negli ultimi sette anni. Non abbiamo visto una nuova grande depressione, anche se abbiamo rischiato di vederla e questo proprio grazie alla politica monetaria non convenzionale portata avanti in questi anni, prima dalla Fed, poi dalla Banca di Inghilterra e infine anche dalla Banca Europea. Tuttavia 7-8 anni sono, più o meno, quello che ci vuole per venir fuori da uno shock così violento come è stato quello del 2008. Da qui in poi, ci si aspetta che le cose si normalizzino sempre di più in termini di politica monetaria, quindi con tassi di interesse positivi: una situazione che arriverà poi in Europa, anche se con ritardo.

D. – Professore, qualcuno parla di rischi recessione…

R. – No, non penso assolutamente ci sia un rischio di recessione. Però dobbiamo essere ben consci del fatto che quando si inizia un percorso di salita dei tassi di interesse, come quello fatto dal Federal Reserve, vuole dire che si apre un anno di picco della fase espansiva: questo vuol dire che gli Stati Uniti continueranno a crescere per tutto il 2016 e poi nel 2017 inizieranno – com’è nella natura della cose – a entrare in una fase di crescita meno brillante e quindi ad avere un minimo di rallentamento, che è poi il ciclo economico normale. E’ per quello che noi europei dobbiamo mettere fieno in cascina per tutto il 2016, perché poi dal 2017 sicuramente le notizie economiche che arriveranno dal di là dell’Atlantico dovrebbero essere meno brillanti di quelle che arrivano oggi.

D. – Parliamo proprio di coinvolgimento dell’Europa, di possibile ripercussione…

R. – Quella che vediamo oggi è una divergenza molto chiara di politica monetaria: mentre da un lato dell’Atlantico tirano su i tassi, noi li stiamo addirittura portando sotto zero. Il fatto, forse, che Draghi qualche settimana fa non abbia completamente ottemperato alle attese dei mercati, che si aspettavano una manovra ancora più aggressiva di riduzione dei tassi o comunque di aumento degli acquisti da parte della Bce, è probabilmente dovuto al fatto che si sapeva già che dall’altra parte dell’Atlantico invece i tassi sarebbero saliti. Questa differenza nei tassi di interesse e nelle politiche monetarie ha un evidente impatto sul tasso di cambio euro-dollaro: quindi è probabile che l’Euro si indebolisca un po’ nei confronti del dollaro e potrebbe anche arrivare alla parità - 1:1 euro-dollaro - verso la fine dell’anno. Questo ovviamente fa bene all’Europa, fa bene in particolare all’Italia e alle sue imprese che dal dollaro sono molto influenzate in termini di capacità di esportazione.








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