2015-12-17 13:41:00

Patriarca Twal e vescovo ausiliare Shomali: pace in Terra Santa


“È il momento di dar prova di coraggio e di operare per una pace stabile fondata sulla giustizia”. Così il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, nel suo messaggio di Natale, lancia un appello per la Terra Santa. Chiede che vengano rispettate le risoluzioni internazionali e ascoltate le voci degli israeliani e dei palestinesi che aspirano alla pace, agendo nel loro interesse. Per un quadro della situazione in Terra Santa, alla vigilia del Natale e nell’Anno Santo della Misericordia, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente mons. William Shomali, vescovo ausiliare del patriarca latino di Gerusalemme:

R. – Dal primo ottobre, c’è una tensione quotidiana. Ogni giorno c’è un attacco da parte o dei palestinesi contro gli israeliani o una risposta israeliana contro i palestinesi. E quello che i palestinesi chiamano “martire”, gli israeliani chiamano “terrorista”. Stiamo così: due lingue, due modi di esprimere il conflitto. Non c’è comprensione, non c’è soluzione. Allora il patriarca dice: “Siamo stanchi di procrastinare una soluzione, senza giustificazioni. Vogliamo una soluzione”. Si è fatto portavoce del popolo che soffre, che è stanco delle scuse dei politici. E’ un altro modo per dire che la violenza che c’è oggi è dovuta a questo ritardo nel dare una soluzione a al conflitto.

D. - Cosa ha indotto questa situazione?

R. – La causa immediata è la tensione attorno a quello che i musulmani chiamano “Al Aqsa” e che gli ebrei chiamano “Monte del Tempio”: gli israeliani, gli ebrei vogliono pregare lì e alcuni di loro hanno l’ambizione di ricostruire il terzo Tempio, con una divisione geografica o cronologica. I musulmani non accettano. E dal primo ottobre c’è una tensione che si è estesa anche a tutti i territori, sia israeliani sia palestinesi. La seconda ragione, indiretta, è il ritardo nel risolvere il problema politico, nel proclamare uno Stato palestinese accanto a uno Stato israeliano, in modo che vivano in pace e in sicurezza.

D.  – In questa realtà come vivono i cristiani di Terra Santa?

R. – Con tensione. L’occasione del Natale, con la nascita di Gesù Cristo Salvatore del mondo, ci dà però una speranza spirituale. Oggi per esempio accenderemo l’albero di Natale al Campo dei pastori, a Beit Sahur. Una settimana fa lo abbiamo fatto a Betlemme. Domani avverrà a Gerusalemme. Questo albero di Natale acceso, nonostante la tensione e il conflitto, è segno che c’è nel cuore ancora qualche speranza.

D. - Il patriarca Twal si è soffermato in particolare sulle guerre alimentate dal commercio di armi. Un argomento trattato spesso anche da Papa Francesco. L’invito è a convertirsi. Come?

R.  – Il patriarca ha denunciato la vendita delle armi. Ha voluto mostrare l’ambiguità, l’ipocrisia degli Stati che vogliono la pace, la giustizia, la riconciliazione, una soluzione al conflitto siriano e iracheno, ma sono loro che vendono le armi, fanno soldi sulla morte di una parte di questa popolazione. Sua Beatitudine Twal ha fatto solo una denuncia, come il Papa, ma questo è già un modo per guarire.

D. – Questo è il Natale del Giubileo: come la misericordia può vincere la violenza in Terra Santa?

R. -  La misericordia viene da Dio, è un dono, lo riceviamo. Dunque i politici hanno bisogno di capire che pure loro devono praticare la misericordia, come il Signore ce la dà. Dobbiamo pregare per una conversione pure dei politici.

D. – Una iniziativa particolare, sollecitata dal patriarca Twal, è quella di spegnere per qualche minuto le luci dell’albero di Natale in segno di solidarietà con tutte le vittime della violenza. Qual è il vostro auspicio?

R. – Lo faremo la Vigilia di Natale, per cinque minuti: è un’azione simbolica per ricordarci che, nonostante la gioia natalizia, c’è una compassione, una solidarietà con le vittime e le loro famiglie a Parigi, Beirut, Damasco, Aleppo: dappertutto c’è sofferenza e non vogliamo dimenticarla il giorno di Natale, il giorno della nostra gioia per la nascita del Salvatore.








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