2015-12-09 14:35:00

Il cardinale Ravasi spiega il significato biblico del Giubileo


“Tutti i Giubilei dovrebbero essere delle occasioni di misericordia e di solidarietà”. A sostenerlo è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che come biblista e studioso dell’ebraismo, riflette con noi sul significato biblico dell’Anno Santo e del concetto di misericordia. Il servizio è di Fabio Colagrande:

Quello cominciato l’8 dicembre è il primo Anno Santo ‘tematico’ della storia della Chiesa, ma la dimensione del ‘perdono’, o meglio della ‘perdonanza’, e quella della compassione sono sottese da sempre al concetto di Giubileo. Lo spiega bene il cardinale Gianfranco Ravasi:

“Un evento particolare, che coinvolge la cattolicità e che punta al cuore profondo del Giubileo, alla sua vera anima, che è un’anima di amore, di liberazione, di giustizia, di ritorno ad una fraternità tra i popoli, tra le persone, e ad una fraternità anche con la terra. Non dimentichiamo che anche il famoso Giubileo del Duemila, che tutti ricordano con quella figura centrale inginocchiata, ormai già colpita dalla malattia, di San Giovanni Paolo II sulla soglia della Porta Santa, era centrato spesso sul tema del perdono, anzi della domanda di perdono che la Chiesa faceva per le colpe che nell’interno della sua storia erano state commesse dai suoi figli”.

Anche le radici bibliche del concetto di Giubileo, rintracciabili nell'Antico Testamento, nel capitolo venticinquesimo del Libro del Levitico, confermano la sua anima ‘misericordiosa’, come spiega Ravasi:

“Questo Giubileo era caratterizzato da alcune componenti che sono ancora – direi – tipiche di questo Giubileo straordinario della Misericordia. C’era la remissione dei debiti delle singole famiglie, il ritorno e il possesso ancora delle terre che erano state alienate a queste famiglie; c’era la liberazione degli schiavi e quindi un ritorno ancora, una celebrazione della libertà; c’era un aspetto ecologico, perché la terra per un anno veniva fatta riposare, considerandola quasi come una creatura – anch’essa – che partecipava al Giubileo, a questo momento che era un momento quindi di giustizia, di carità, di solidarietà”.

L’esplorazione della Bibbia rivela però un’altra sorpresa che riguarda la parola misericordia, etimologicamente legata al cuore, e ne accentua il carattere istintivo. Ascoltiamo ancora il cardinale Ravasi:

“In realtà è significativo che nella lingua dell’Antico e del Nuovo Testamento, in uno strano parallelo, l’organo simbolico da cui scaturisce la misericordia della persona è un altro: infatti abbiamo nell’interno nell’Antico Testamento il vocabolo reiterato e applicato a Dio ripetutamente “rachamim”, al plurale, che indica letteralmente il “grembo materno”, per cui c’è nell’interno della concezione di questa misericordia una sorta di componente istintiva, tenera, appassionata, immediata. Nel Nuovo Testamento abbiamo un verbo che ricorre 12 volte nei Vangelo ed è il verbo “splagchnizomai”, che ha alla base proprio gli “splagchna”, che sono non soltanto le viscere materne, ma anche la capacità generativa del padre. Quindi Dio e in questo caso Cristo si presentano con un volto sia maschile, sia femminile, con una tenerezza che è anche quasi esclusiva della donna, una finezza del sentimento e della donazione. Per esempio, quando si trova davanti a quella povera vedova che ha perso il figlio unico e del quale si sta celebrando il funerale a Nain, Gesù – ecco il verbo usato dagli evangelisti, da Luca – prova 'splagchnizomai', prova questo sentimento istintivo”.








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