2015-12-07 11:04:00

Processo in Vaticano e libertà di stampa: intervista con il prof. Mirabelli


Uno degli aspetti dibattuti a proposito del processo in corso in Vaticano sulla pubblicazione illecita di documenti riservati riguarda la chiamata in giudizio di due giornalisti e la domanda se ciò sia contrario al rispetto del principio della libertà di stampa. Ne abbiamo parlato con un insigne giurista, il prof. Cesare Mirabelli, già giudice della Corte Costituzionale italiana per diversi anni e presidente della stessa Corte, e ora consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano. Ascoltiamo le sue riflessioni al microfono di Sergio Centofanti:

D. – Prof. Mirabelli, il processo in Vaticano che vede imputati fra gli altri i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi mette in qualche modo in dubbio la libertà di stampa?

R. – Non mi pare proprio. La libertà di stampa è comunque garantita. Il giudizio che deve essere dato è se questi documenti siano stati acquisiti in maniera corretta; se sono cose provenienti da reato, se vi è una partecipazione dei giornalisti alla sottrazione illegale – starei per dire “delittuosa” – di questi documenti.

D. – Il promotore aggiunto Zannotti ha detto che non si contesta la pubblicazione di notizie o la diffamazione, ma il modo in cui sono stati acquisiti questi documenti …

R. – Certo, se questo costituisce reato, è questo reato che può essere punito. Questo non significa che vi sia un divieto o una limitazione al giornalismo di inchiesta, che ha anche una positività perché mette in luce delle criticità che ci sono e informa sotto questo aspetto l’opinione pubblica. Tuttavia, il giornalismo d’inchiesta non significa una acquisizione di documenti con atti o commissione di reati per procedere a pubblicare informazioni.

D. – Anche in Italia ci sono limiti alla pubblicazione di notizie…

R. – La libertà di stampa comprende certamente la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di esprimere giudizi, di pubblicare atti o documenti; ma vi possono essere dei limiti quando questo riguardi – ad esempio – la sicurezza dello Stato o altri elementi che si riferiscono a atti o documenti riservati. Perciò, il limite alla libertà non significa conculcare la libertà di informare. Vi è un elemento che riguarda le modalità con le quali la documentazione viene acquisita – come in questo caso – o anche la natura di alcune informazioni che possono rimanere riservate.

D. – C’è chi asserisce che questi due giornalisti sono processati ingiustamente, contro l’articolo 21 e 51 della Costituzione italiana che tutelano la libertà di stampa e il giornalista che esercita il diritto di cronaca…

R. – Si invocano due norme costituzionali italiane: in realtà, bisogna considerare che ci troviamo in un altro Stato, lo Stato della Città del Vaticano con proprie leggi e propri principi. E tuttavia, gli stessi principi di libertà di manifestazione del pensiero e di informazione sono autonomamente presenti nell’Ordinamento vaticano: non si può fare certamente riferimento ad articoli della Costituzione italiana, ma è garantita la libertà di espressione anche nello Stato della Città del Vaticano, in base a principi propri. Questo non significa che, appunto, non vi possa essere una sanzione penale quando si ha un uso inappropriato della libertà: ad esempio se nella stampa offendo l’onore di altre persone o assumo posizioni calunniose, pubblico notizie del tutto calunniose, certamente sono perseguibile penalmente: allora siamo al di fuori dell’esercizio della libertà di stampa e della libertà di manifestazione dell’opinione.

D. – Nell’Ordinamento del Vaticano è garantito il diritto a manifestare il proprio pensiero …

R. – Riterrei proprio di sì! In questo processo non si vuole contraddire questo diritto, ma perseguire un reato che è previsto dalla legge penale vaticana. Questa legge non ha un contenuto singolare, perché molte legislazioni prevedono sanzioni quando sono sottratti documenti che riguardano la vita dello Stato e che l’Ordinamento ritiene di dovere in qualche modo tutelare.

D. – Un processo, dunque, che si celebra all’interno di uno Stato di diritto …

R. – C’è un tribunale che giudica in un processo nel quale è garantito il contraddittorio tra le parti; è un processo pubblico nel quale quindi vi è un giudice terzo rispetto all’accusa e alla difesa, e accusa e difesa presentano ciascuna le proprie prove che saranno valutate dal tribunale. Perciò, mi pare che ci siano tutte le garanzie per un giusto processo: un giusto processo che riguarda anzitutto una accusa su un reato, su un fatto che costituisce reato, con la garanzia che si direbbe “di stretta legalità”, cioè il fatto che costituisce reato è previsto, è punito da una legge anteriore rispetto al fatto commesso. La garanzia che dev’essere assicurata è la non retroattività della legge penale: in questo caso, non abbiamo una legge penale retroattiva che punisce questi fatti che si asseriscono commessi. Allo stato, siamo in presenza di un’accusa da parte del pubblico ministero, come avviene in ogni ordinamento, e di una difesa che si esprimerà nel processo.

D. – Qualcuno ha parlato di ingranaggio inquisitorio dietro il quale ci sarebbe il codice Zanardelli del 1889 …

R. – Questo mi fa sorridere, perché si è a lungo detto che il Codice Zanardelli ha un’impostazione liberale rispetto al Codice Rocco, al codice autoritario fascista che, sia pure depurato di alcuni reati, è presente ancora nell’Ordinamento italiano.

D. – C’è chi ha ipotizzato il reato di ricettazione …

R. – La ricettazione si ha quando si acquisiscono cose per trarne profitto, sapendo che queste cose provengono da reato. Anche questo può essersi verificato; in questo caso credo che si tratti di un reato probabilmente commesso in territorio italiano, anche se i problemi di territorialità si pongono in maniera diversa: ci sono dei reati per i quali si può essere perseguiti anche se commessi all’estero, quando toccano l’interesse dello Stato, siano essi commessi dal cittadino e anche commessi dallo straniero.

D. – E’ stato contestato il fatto di non potersi difendere attraverso avvocati di fiducia …

R. – Qui c’è da precisare forse un aspetto. In ogni Ordinamento dev’essere assicurata naturalmente la difesa tecnica, e la difesa tecnica è assicurata o scegliendo il proprio avvocato – l’avvocato di fiducia – o attraverso la nomina di un difensore d’ufficio, ma il difensore dev’essere un difensore che sia iscritto in appositi elenchi o albi – in Italia diremmo dell’Ordine degli Avvocati – e nello Stato della Città del Vaticano, nell’Ordine – usiamo questo termine – degli Avvocati che sono iscritti negli albi in quello Stato, in quell’Ordinamento. Perciò, non è che può essere ammesso al patrocinio chi non è iscritto in quegli Albi o non è ammesso in precedenza dallo stesso tribunale a difendere dinanzi a sé. Come in ogni Ordinamento.

D. – Questo processo non è una sentenza, è un accertamento dei fatti …

R. – Ogni processo tende a questo: inizia con una imputazione, un’accusa, vi è un dibattimento per accertare se i fatti sono stati commessi e se vi è una responsabilità degli imputati; il processo non è segreto: è un processo pubblico, lo stiamo seguendo tutti. Solamente all’esito ci sarà una sentenza, cioè un accertamento motivato, una sentenza che avrà una motivazione ed esprimerà le ragioni per le quali vi è una responsabilità penale e quindi una condanna, oppure non vi è una responsabilità penale e quindi vi sarà un’assoluzione.








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