2015-11-30 18:44:00

A Parigi l'ultima chiamata per salvare il pianeta


In una Parigi blindata si è aperto stamani, nel ricordo delle vittime degli attentati di due settimane fa, il 21.mo vertice sul clima al quale partecipano 150 leader mondiali. Un summit, preceduto ieri da manifestazioni e disordini con oltre 200 fermi, che rappresenta l’ultima chiamata per salvare il pianeta. Benedetta Capelli:

Obbligo di successo. Lo chiede la maggioranza dei leader politici che stanno intervenendo alla conferenza Onu sul clima, ma anche i Paesi vittime dell’effetto serra che confidano in nuovi aiuti. Si lavora per giungere ad un accordo vincolante capace di contenere entro due gradi l'aumento delle temperature. Un’intesa – ha detto Ban Ki-moon- per garantire la pace e la sicurezza del mondo “visto che – ha rimarcato Hollande – i cambiamenti climatici creano più migrazioni delle guerre”. “Possiamo cambiare il futuro qui e adesso”: ha evidenziato Obama che ha riconosciuto le colpe commesse dagli Stati Uniti in passato. La Merkel ha annunciato il raddoppiamento dei finanziamenti pubblici per le energie rinnovabili entro il 2020 mentre Putin ha parlato dei passi avanti fatti in Russia nel ridurre le emissioni di gas serra. Stesso concetto ribadito da Renzi, sono 4 i miliardi previsti nella legge di stabilità entro il 2020. Anche la Cina si è detta disponibile ad un maggiore impegno sul clima nel giorno in cui a Pechino gli esperti hanno innalzato il livello di allarme per lo smog. Diverso l’atteggiamento dell’India disposta ad un piano di riduzione di emissioni legato agli aiuti economici che potrà ricevere. Un ostacolo ai negoziati infine potrebbe arrivare da Venezuela e Arabia Saudita, Paesi produttori di petrolio, costretti a rivedere le loro economie.  

Sulle sfide di Cop21, Elvira Ragosta ha intervistato Carlo Andrea Bollino, docente di Economia dell’energia alla Luiss di Roma:

R. – Noi economisti siamo scettici sulla possibilità di raggiungere un accordo forte e importante, perché le posizioni rimangono distanti. Noi Paesi industrializzati abbiamo una visione di protezione del clima dalla nostra posizione di comodità e di benessere. I Paesi emergenti desiderano continuare svilupparsi e per il loro sviluppo c’è bisogno di consumare energia e quindi di entrare in conflitto con le problematiche di protezione ambientali. Queste due posizioni sono ancora distanti, occorre dirlo.

D. – I Paesi si sono già impegnati nella riduzione delle emissioni ma nello specifico cosa si deciderà a Parigi?

R. – Si dovrebbe decidere finalmente di arrivare a un accordo vincolante. Così fu il protocollo di Kyoto. Tuttavia, la nuova politica europea per il 2030 ha diluito la forza dell’impegno vincolante che devono prendere i Paesi europei e siccome i Paesi europei sono comunque – anche se solo il 10% delle emissioni mondiali – un gruppo importante non vorrei che dessero il cattivo esempio: cioè di parlare e parlare di un accordo globale senza darne gli specifici dettagli, quelli che poi rendono operativa la politica.

D. – I cambiamenti climatici producono anche disastri ecologici. Quanto pesano questi sui Paesi più poveri, sull’economia dei Paesi più poveri?

R. – Dal punto di vista morale moltissimo, perché lì ci sono popolazioni che aspirano a dignità, a essere tratte fuori dalla povertà. Del resto, l’ha detto anche il Santo Padre, tutti siamo stati colpiti dalle sue parole. Ma se dovessi fare ancora una volta l’economista scettico direi che quanto è più povero un Paese, tanto meno ha da perdere. Quindi, purtroppo la sensibilità mondiale verso le problematiche di questi Paesi è limitata.

D. – Quanto peserà sulla Conferenza Onu sul clima di Parigi l’Enciclica "Laudato si’" che Papa Francesco ha dedicato all’ambiente?

R.  – Da cristiano spero moltissimo, perché ha scosso le coscienze: dal punto di vista della "real politik", cioè della capacità dei capi di Stato di tenerne conto, ci sarà sicuramente un impatto. Il punto fondamentale è il messaggio etico: cioè, non è possibile non tenere conto del fatto che l’ambiente è il mondo in cui viviamo e questo dobbiamo rispettare. A questo penso che qualsiasi politico dovrà inchinarsi e questo sarà un merito di Papa Francesco per l’umanità.

D. – Quali sono i Paesi più inquinanti al mondo oggi?

R.  – In termini di dimensioni, Cina e Stati Uniti sono le due grandi potenze industriali che hanno la maggiore quantità di emissioni.

D. – Poi, c’è il tema dei combustibili fossili che gli esperti vorrebbero restassero sotto terra per evitare appunto di andare oltre il tetto di emissione. Che cosa si prevede sulle decisioni che si prenderanno in questa conferenza?

R. – Ci sono due modi per limitare l’apporto nocivo all’ambiente derivante dalle emissioni dei fossili. Uno è di sostituirli con fonti rinnovabili. L’altro è quello di effettuare risparmio energetico e innovazione tecnologica in maniera tale di utilizzarne di meno per soddisfare più bisogni. Noi in Europa abbiamo già fatto la nostra parte, dando il segnale con l’energia eolica e l’energia fotovoltaica. Penso che una partita importante la potranno giocare alcuni Paesi emergenti, penso alla Cina e all’India, e paradossalmente anche alcuni dei Paesi produttori di petrolio. Già in Arabia Saudita si studia l’apporto delle fonti rinnovabili, nel loro caso per avere più petrolio da esportare, ma è comunque un beneficio perché significa avere maggiore produzione di energia rinnovabile anche sul suolo e territorio dei Paesi produttori di petrolio e questa non può che essere una diversificazione tecnologia interessante per il mondo intero.

 

 








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