2015-11-22 11:30:00

Dialogo tra vittime e detenuti: iniziativa di Prison Fellowship


Sostenere le vittime del crimine attraverso il dialogo riparativo. E’ stato questo il tema del forum tenutosi nei giorni scorsi a Roma e promosso da Prison Fellowship Italia. L’iniziativa rientra nel programma Building Bridges che punta alla riabilitazione dei detenuti anche attraverso la “giustizia restitutiva” in favore delle vittime. Il servizio di Davide Dionisi:

Generalmente il crimine viene inteso come devianza che necessita di una risposta sociale. Le vittime patiscono conseguenze fisiche, psicologiche e finanziarie, ma questo percorso di dolore può essere alleviato attraverso un dialogo riparativo tra vittime e autori del reato. Ne sono convinti i rappresentanti europei di Prison Fellowship, l’organizzazione statunitense attiva in 125 Paesi che opera da oltre trent’anni nelle carceri, che si sono confrontati a Roma nei giorni scorsi per rilanciare il progetto Building Bridges che ha come obiettivo proprio quello di avvicinare vittime e detenuti e contribuire ad una comunità socialmente giusta nel Vecchio Continente. Ma una vittima può realmente trarre vantaggi dall’incontro con chi ha l’ha offesa? La risposta di Marcella Reni, presidente di Prison Fellowship Italia:

R. – Sì, e lo abbiamo sperimentato. Lo dico per esperienza e non solo per teoria o accademia; abbiamo sperimentato che le persone offese da un reato, a determinate condizioni, possono avere non soltanto una riparazione laddove sia possibile, ma proprio una "restaurazione", una rinascita interiore e riacquistare serenità. Ne abbiamo fatto esperienza in cinque anni in parecchie carceri e non soltanto con detenuti per reati "banali", oserei dire, anche se non si può mai etichettare un reato come banale, o di lieve entità o contro il patrimonio. L’abbiamo sperimentato con reati di sangue.

D. - Come e dove si possono inserire le vittime per realizzare tale Progetto?

R. – Questa è la parte più difficile del progetto, perché le vittime in genere non soltanto provano diffidenza, ma anche paura, soprattutto perché i nostri progetti si svolgono all’interno del carcere. Quindi già l’idea di entrare in un carcere ed incontrare anche se non le stesse persone che hanno causato il loro danno, ma persone che comunque hanno causato un danno analogo, spaventa soprattutto e molte volte c’è, oltre alla diffidenza, l’idea che devono rimanere lì e devono stare lontane. Una volta che si supera questa barriera, illustrando soprattutto non solo le finalità del progetto ma le modalità – e quindi l’ambiente protetto, sicuro, che dà tutte le garanzie non solo di sicurezza ma che anche di riservatezza, di discrezione – le vittime sono poi le prime ambasciatrici del progetto presso altri e anche presso le stesse associazioni. In Italia, in verità, non esiste un sistema radicato ed uniforme sul territorio di vittime. Ci sono varie esperienze: le vittime di mafia, del terrorismo, quelle tra la polizia o le forze dell’ordine, ma non c’è un’associazione di vittime che le raggruppi a livello nazionale. Quindi facciamo un po’ fatica ed i nostri canali privilegiati sono le parrocchie, il porta a porta, la conoscenza personale, il passaparola. Oggi devo dire che molte delle vittime che hanno partecipato ai nostri progetti sono le stesse che "reclutano" non soltanto le altre vittime, ma ne abbiamo alcune che addirittura sono diventate benefattrici dell’associazione proprio per "reclutare" altre vittime facendo piccoli lavoretti che poi noi diamo in beneficenza o regaliamo per ottenere in cambio piccola offerta per mantenere l’associazione.

D. - Come vengono formati i facilitatori? 

R. – In Italia i primi sono stati formati da un team venuto da Washington in due diversi incontri realizzati nel 2009. Da quel momento una squadra di noi, cinque o sei persone, annualmente segue dei corsi di formazione sulla base dei documenti scientificamente testati che sono venuti dall’America - che è quella che ha formato il progetto – che poi vengono adattati alla nostra cultura italiana, cioè ad una formazione ben precisa, molto puntuale e profonda. Una volta fatta questa formazione teorica i nostri facilitatori rientrano con un facilitatore esperto e a la sua prima formazione sul campo dando sussidio ad un facilitatore principale. Da quel momento in poi può anche fare la facilitazione, la mediazione indiretta da solo.








All the contents on this site are copyrighted ©.