2015-11-20 15:23:00

Cina. Operazione nello Xinjiang, uccisi 28 separatisti uiguri


In Cina, nella regione autonoma a maggioranza musulmana dello Xinjiang, 28 persone di etnia uiguri sono state uccise dalla polizia cinese. Le vittime sono ritenute tra i protagonisti dell’assalto alla miniera di Sogan, avvenuto nel settembre scorso. Durante l’ultimo G20, Pechino ha chiesto di alzare il livello di emergenza terroristica e di ritenere i separatisti musulmani dello Xinjiang come possibili affiliati all’Is. Perché il governo centrale cinese è così spaventato da questa regione? Veronica Di Benedetto Montaccini lo ha chiesto a Federico Masini, direttore dell’Istituto Confucio della Facoltà di Studi Orientali della Sapienza:

R. - Si tratta di un’area lontana dal centro della Repubblica Popolare Cinese, storicamente abitata da una popolazione uigura di origine centro-asiatica, di religione musulmana. Sono molti anni ormai che ci sono movimenti indipendentisti che vengono perseguitati e colpiti dal governo cinese. Mentre prima si trattava di un combattimento verso una popolazione interna adesso, con il cambiamento della situazione internazionale, i cinesi sono riusciti a far considerare questi movimenti come terrorismo internazionale.

D. – La Cina ha chiesto di alzare il livello di allarme terroristico. L’etnia uiguri è assimilabile alla matrice jihadista?

R.  – Si tratta secondo me di due questioni separate che convivono nello stesso territorio. C’è stato certamente un tentativo delle forze jihadiste di intercettare e raccogliere un sostegno presso queste popolazioni. L’altro aspetto è la difficile convivenza fra gli han e gli uiguri. Basti pensare che il fuso a Ürümqi è lo stesso di Pechino, quando invece ci sarebbero alcune ore di fuso orario. Quindi la società civile di Ürümqi è “settata” sulla realtà di Pechino e questo crea evidentemente tanti problemi dal punto di vista della convivenza fra etnie diverse. I cinesi sono in grado in questo momento di raccogliere il sostegno internazionale per considerare questi movimenti alla stregua di tutte le altre forme di terrorismo islamico e quindi hanno mano libera per poterli perseguitare.

D. - Quali sono le strategie militari in atto nella regione autonoma?

R. – Stiamo parlando come nel caso del Tibet di zone che sono a rischio centrifugo rispetto al centro dell’impero della Repubblica Popolare Cinese. Quindi è facilmente immaginabile che da sempre vi siano truppe a disposizione della polizia cinese per poter contrastare in maniera molto incisiva e molto rapida qualunque tentativo indipendentista.

D. - Dal punto di vista sociale, tra la popolazione degli han e quella degli uiguri, classe media in cerca di lavoro la prima e di origini rurali e con una bassissima istruzione la seconda, c’è una guerra tra poveri? 

R. – Vediamolo dal punto di vista dei cinesi: ci troviamo di fronte a una zona estremamente arretrata, con una Cina che invece si è sviluppata soprattutto nella sua zona costiera. Il governo cinese da anni ha lanciato un programma per diffondere lo sviluppo e portarlo anche nelle zone più povere. Questo programma può portare ad uno spostamento di popolazioni che possono emigrare dalle zone centrali dell’Asia. A differenza del Tibet, lo Xinjiang ha condizioni climatiche e geografiche più accoglienti: hanno creato università, hanno creato centri di ricerca. Evidentemente poi alcuni uiguri vedono in questa strategia un tentativo di colonizzazione da parte della Cina; altri invece hanno colto questa opportunità e quindi stanno utilizzando questo tentativo del governo cinese di diffondere lo sviluppo economico anche nelle zone rurali dell’interno, come lo Xinjiang, integrandosi in modo migliore con le altre minoranze. 








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