2015-11-17 13:10:00

L'Ue sostiene la Francia contro l'Is. Nuovi raid su Raqqa


I Paesi dell'Unione Europea hanno approvato all'unanimità la richiesta di assistenza presentata dalla Francia dopo gli attentati di Parigi. Lo ha annunciato stamani il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini. Ieri, parlando al Congresso francese, il Presidente Hollande aveva invocato la "clausola per la difesa comune" ribadendo che: “La Francia è in guerra” contro il sedicente Stato Islamico. Nella notte scorsa nuovi raid aerei della Francia contro le basi dell’Is nella roccaforte di Raqqa, in Siria. Massimiliano Menichetti ha parlato della situazione con il prof. Matteo Pizzigallo, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università Federico II di Napoli:

R. - Siamo di fronte ad una questione di grandissima complessità che trae origine dall’irrisolto problema siriano, nel senso che tutti combattono contro il sedicente Stato islamico che è il nemico comune, ma gli obiettivi sono diversi per ciascuna delle potenze globali, diversi da quelli delle potenze regionali e dagli Stati confinanti, potremmo dire che ci sono delle cosiddette guerre parallele.

D. - Cioè ad esempio come risolvere la questione del Presidente siriano Assad?

R. - Nel senso che la coalizione a guida occidentale vuole combattere l’Is ma nello stesso tempo vorrebbe eliminare il problema Assad che è la prima incognita. La Russia invece non è d’accordo sul crollo “non assistito” del Presidente Assad, non vuole creare un vuoto ed un pericolo. E questa posizione è condivisa direttamente anche dall’Iran che non vuole perdere il cosiddetto “arco sciita” che è la direttrice Teheran-Damasco-Hezbollah-Libano. I turchi fanno parte della coalizione occidentale e combattono l’Is ma combattono al tempo stesso una guerra parallela contro i curdi, perché non vogliono che si crei ai loro confini un nuovo Stato curdo più o meno indipendente che invece è frantumato in tre realtà diverse, cioè Iraq, Siria e Iran. Poi ci sono le potenze regionali dell’area del Golfo... Voglio dire che il problema di fondo è quello che si debba prima di tutto 'diplomatizzare' la crisi.

D. - In questo senso che significa “diplomatizzare” il conflitto?

R. - Significa che le grandi potenze sia globali sia regionali e in particolare l’Unione Europea devono definire una “road map” con scadenze ben precise e con impegni garantiti e definitivi molto più stringenti di quelli assunti nel piano di Vienna, dove si dice “elezioni entro 6 mesi e poi 18 mesi per la Costituzione…”: questi mi sembrano impegni molto vaghi.

D. - Nel frattempo però continuano i bombardamenti russi e a guida americana?

R. - Limitarsi soltanto a bombardare senza pensare a quello che verrà è un rimedio peggiore del male. E questo anche a Raqqa perché in quella città abitano centinaia di migliaia di persone civili!

D. - Comunque a livello diplomatico non siamo di fronte a un vicolo cieco…

R. - Abbiamo fatto un passo avanti nel senso che finalmente ci siamo decisi a parlare anche con i russi e gli iraniani che sono stati ammessi alla soluzione del problema. Ora bisogna passare da combattere lo stesso nemico, a diventare alleati. Guai a limitarsi solo a bombardare. Certamente ha un significato nell’immediato colpire i gangli militari, ma poi ci deve essere un crono-programma preciso. Spero che il cammino diplomatico vada intensificandosi, che le riunioni non siano occasionali, dettate dall’emergenza. La lezione libica è tutta qui: il fatto di essersi limitati a rimuovere il pericolo che era rappresentato dal dittatore Gheddafi e poi ognuno ha scelto di stare o dalla parte del governo di Tobruk o dalla parte con il governo di Tripoli, con interlocutori diversi e scegliendosi sul campo ciascuno la propria milizia.








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