2015-11-17 14:32:00

Amazzonia. L'etnia Quechua: difendiamo habitat da sfruttatori


La cura per l'ambiente in rapporto all’iniziativa umana e alla richiesta di “ecologia integrale” proposta da Papa Francesco nell'Enciclica “Laudato si’” sono stati i temi più discussi dai relatori durante la prima giornata del Meeting della Repam, la Rete ecclesiale Pan-Amazzonia, che si svolge nella sede della Conferenza episcopale colombiana a Bogotà. Forte si è levata anche la voce dei rappresentanti dei popoli indigeni, come quella di Patricia Gualinga, delegata dell’etnia Quechua ecuadoriana, intervistata dall’inviata, Cristiane Murray:

R. – Mi pueblo es aproximadamente de 1.200 habitantes...
Il mio villaggio è composto approssimativamente da 1.200 abitanti. Viviamo in piena giungla amazzonica. Non abbiamo strade e, in realtà, non le vogliamo neanche. Ci sono due modi per arrivare fino a Sarayaku: per via aerea, con un piccolo aereo di cinque passeggeri, o per via fluviale, impiegando un giorno. Al di là di essere un piccolo o un grande popolo, è un popolo che ha lottato fortemente, che ha difeso il proprio territorio, che  ha combattuto e che ha vinto: abbiamo avuto un iter giudiziario, durato 10 anni, davanti alla Commissione interamericana dei diritti umani e abbiamo vinto contro lo Stato dell’Ecuador, con una sentenza favorevole per il  villaggio di  Sarayaku. Questo è stato molto utile, perché ha rappresentato una ispirazione e una speranza per molti altri pueblos. Quando noi abbiamo cominciato la nostra lotta, ci dicevano che sarebbe stato impossibile, perché questo significava lottare contro le grandi imprese transnazionali, che sarebbe stato un fallimento annunciato e che, in realtà, stavamo camminando verso la morte. Ma noi rispondevamo a tutti dicendo: “Non possiamo saperlo, se neanche ci proviamo…”. Anche se ora ci rispettano maggiormente, vediamo però che stanno attuando dei blocchi petroliferi in altri territori circostanti. E il Rio non ha limiti, non ha frontiere, come le diverse specie che lo abitano, gli uccelli; e così come l’aria, anche l’ossigeno non ha frontiere… E quindi la contaminazione arriva anche al nostro villaggio. Anche per questo continuiamo a lottare! Abbiamo guadagnato delle alleanze strategiche, abbiamo dimostrato che siamo popoli degni, che vorremo realizzare una trasformazione storica: non vogliamo essere soltanto delle vittime, vogliamo essere artefici di un cambiamento positivo per l’umanità. Vediamo tutte le preoccupazioni che ci sono, nel mondo, riguardo al cambiamento climatico: gli scienziati e gli studiosi hanno detto che l’80% del petrolio scoperto deve rimanere nel suolo… Noi diciamo: siamo popoli che sperano e che non vogliono lo sfruttamento del petrolio. Lascino in pace in nostro spazio territoriale, lascino in pace le foreste primarie che si sono: così evitano il cambio climatico. Questo contributo che diamo deve essere riconosciuto a livello mondiale, come spazio di vita per l’intero pianeta. Questo è il nostro apporto. Noi vogliamo essere di apporto, ma con la vita e non la morte. Non solo con il denaro, ma con un bagaglio spirituale e di vita che aiuti questa umanità a continuare ad esistere.

D. – La Chiesa cattolica vi è vicina in questa lotta?

R. – Sarayaku es un pueblo catolico…
Il nostro è un villaggio cattolico. Nel 1992 abbiamo fatto una grande marcia per i “diritti di proprietà” e la vincemmo. In quel momento la Chiesa cattolica ci ha accompagnato. Il nostro parroco e la suora che erano presenti ci hanno accompagnato e hanno camminato con noi per 300 chilometri, fino alla capitale, per la legalizzazione del territorio. Noi abbiamo compreso molto bene il Vangelo, qual è il senso della creazione e come non si contrapponga con la nostra spiritualità. Anche questo è stata la nostra forza.








All the contents on this site are copyrighted ©.