2015-11-16 13:13:00

Raid francesi su Raqqa: Is ricolloca miliziani. Bozzo: azioni continueranno


Il sedicente Stato Islamico (Is) starebbe ricollocando i propri miliziani e spostando i civili da Raqqa, considerata la capitale dell'autoproclamato “Califfato”, in seguito ai raid francesi sulla località nel nord della Siria, scattati dopo gli attentati di venerdì a Parigi. A sostenerlo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui i jet francesi, in oltre 30 azioni, avrebbero preso di mira centri di comando, addestramento e reclutamento dei gruppi jihadisti. La coalizione internazionale, fa intanto sapere il Pentagono da Washington, ha distrutto 116 camion cisterna utilizzati dai combattenti al confine con l’Iraq. Ma a cosa punta ora la strategia anti Is? Risponde Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università degli studi di Firenze, intervistato da Giada Aquilino:

R . – Il “Daesh”, il sedicente Stato islamico, si è differenziato fino ad oggi e negli anni scorsi rispetto ad altre organizzazioni terroristiche del radicalismo islamico, perché ha voluto stabilire un controllo territoriale: quindi, una cosa molto diversa rispetto - ad esempio - ad al Qaeda, il più diretto predecessore. Avendo dichiarato Raqqa come una sorta di propria capitale, si espone quindi agli attacchi aerei diretti verso quella capitale e verso installazioni militari, centri di comando e di controllo che possono essere insediati in quell’area e altrove. D’altro canto, però, l’Is è anche un gruppo terroristico internazionale che si è costituito e autoproclamato come “Califfato” e considera altri Paesi presenti sulla scena mediorientale o nordafricana come proprie “province” ed “emanazioni”: per questo, ha stabilito la propria presenza anche in quei Paesi; penso soprattutto a un Paese a noi molto vicino, come la Libia. Allora, è logico che colpire Raqqa o conquistare territori, città, villaggi a suo tempo presi dall’Is abbia un significato, in quanto priva l’organizzazione di basi territoriali e anche, ovviamente, delle risorse economiche che possono essere associate a quei territori. D’altro canto, però, possiamo anche notare come quanto avvenuto in Francia sia in qualche maniera una risposta, su un piano totalmente diverso, a questo nuovo attivismo delle forze presenti in Medio Oriente che combattono contro l’Is: una risposta a distanza, colpendo dove per un Paese occidentale, come la Francia, è molto più difficile prendere delle contromisure ed evitare l’attacco.

D. – L’attacco della coalizione di curdi, combattenti sciiti, forze regolari irachene - appoggiate appunto dai raid internazionali - potrebbe portare ad un’eventuale caduta di Raqqa?

R. – Si calcola che i combattenti del cosiddetto Stato islamico siano in numero di 40-45 mila, forse 50 mila: difficile pensare che il numero sia maggiore. Non si tratta di numeri e di capacità tali da impressionare forze adeguatamente armate, addestrate e soprattutto sostenute dall’aria. Temo però che gli attacchi terroristici in Europa continueranno, anche perché l’Is non è soltanto stanziato territorialmente tra la Siria e l’Iraq, ma ha creato proprie affiliazioni anche altrove.

D. – Nei pressi di Sinjar, nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, strappata all’Is nel giorni scorsi, è stata trovata una fossa comune con i corpi di 50 uomini yazidi. C’è il timore che ci possano essere altre scoperte del genere e che le violenze possano ulteriormente intensificarsi in questo momento?

R. – Sappiamo che tipo di organizzazione sia “Daesh” e come si muova. Lo sappiamo sulla base di tutto quello che è successo dall’anno scorso ad oggi: fosse comuni, massacri indiscriminati, popolazioni intere ridotte in schiavitù, stupri… Perciò non credo che queste modalità di azione siano destinate a cambiare o ad attenuarsi, anche perché c’è una forma di comunicazione finalizzata a produrre un certo effetto psicologico, come si è visto anche in passato.

D. – Gli attentati in Turchia e in Libano, l’esplosione del jet russo nel Sinai, poi Parigi: cosa c’è da attendersi?

R. – Credo che sia facile, in qualche maniera, intravedere una strategia di coordinamento delle azioni, di una più generale “grande strategia” di Is, frutto anche dell’aumento e della risposta all’aumento della pressione territoriale posta sul sedicente Stato islamico. Credo che siamo entrati davvero in quella “terza guerra mondiale a pezzi” a cui ha fatto riferimento il Santo Padre e che adesso si manifesta in tutta la suo violenza e virulenza.








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