2015-11-16 13:49:00

Mattarella all'Aquila: futuro dell'Italia parte da qui


“I ricordi non passano, il dolore non si dimentica. L’Aquila è una sfida nazionale, il futuro dell’Italia parte anche da qui”. Così, il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, oggi nel capoluogo abruzzese ha ricordato le 309 vite spezzate dal sisma del 6 aprile 2009.  A scandire la visita del capo di Stato un minuto di silenzio per le vittime di Parigi, la sosta alla Casa dello Studente, l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università e la tappa ad Onna dove ha incontrato tra gli altri Giustino Parisse, giornalista che nel terremoto perse due figli e il padre. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – In questi anni qui a L’Aquila abbiamo avuto a volte l’impressione di essere stati letteralmente dimenticati da tutti, anche dai governi nazionali. Oggi la visita di Mattarella ci restituisce la fiducia nelle istituzioni.

D. - Fino ad oggi è stato fatto poco …

R. -  Sì, parlo per Onna. Per questo paese è stato fatto pochissimo; è stata ricostruita la chiesa parrocchiale grazie ai fondi della Germania, un mese fa sono stati aperti i primi due cantieri, un piccolo segno. Per quanto riguarda L’Aquila è stato fatto di più. Parlo del centro storico. Molti palazzi vincolati, a suon di decine di milioni, sono stati ricostruiti anche molto bene. Quindi qualcosa si è mosso, non siamo all’anno zero. Però c’è tanto da fare.

D. – Personalmente, cosa vuol dire per te incontrare il presidente Mattarella?

R. – Per me è un’emozione. Faccio una piccola confessione: a marzo gli scrissi una lettera chiedendogli di venire qui, nel mio paesello. All’inizio mi fu risposto che non era nei programmi del presidente e che questa cosa non era possibile. Però, poi ho saputo che appena è stata aperta questa finestra sull’Aquila con la possibilità di questa visita, il presidente ha deciso di venire a salutare noi onnesi.

D. - Nella tua, nella vostra dura, difficile battaglia contro la sofferenza, la disperazione, la paura, la rassegnazione, cosa vuol dire assistere a quanto è stato fatto, o forse non è stato fatto, dal 2009 ad oggi?

R. – Ieri qui ad Onna abbiamo inaugurato un monumento alle vittime del sisma del 2009. L’arcivescovo del L’Aquila, mons. Petrocchi, ha celebrato la Messa. Durante l’omelia ha detto una cosa che mi ha colpito molto: 'Voi onnesi che avete sofferto tanto, avete il diritto di soffrire'. Per noi, quella sofferenza, nata la notte del 6 aprile resta. Nessuna ricostruzione potrà riempire quel vuoto che è stato aperto quella notte. Però, per rispondere alla tua domanda, è vero, quella sofferenza e quel dolore si trasformano in rabbia nel vedere una ricostruzione che dopo sette anni si sta appena avviando; c’è rabbia nel vedere persone e personaggi che cercano di speculare su quella tragedia; c’è rabbia nel vedere che tanti giovani hanno perso la speranza di costruirsi un futuro qui. Tutto questo va evitato, ecco perché la presenza di Mattarella oggi ci restituisce una piccola luce.

D. – Mattarella ha chiesto che L’Aquila sia oggi una sfida nazionale da cui far ripartire il futuro dell’Italia …

R. - È fondamentale. Quando accadono tragedie di questo genere lo Stato dovrebbe comportarsi come ci si comporta in famiglia. Se in famiglia c’è una persona malata, questa viene aiutata. L’Aquila è il malato d’Italia. Lo Stato non può dimenticare e dire: “L’Aquila è il malato, lasciamolo morire, tanto prima o poi morirà”. L’immagine dell’Italia nel mondo passa anche attraverso una ricostruzione trasparente, onesta e pulita dell’Aquila.

D. – Come trasformare il dolore e la rabbia che si provano di fronte a tanto immobilismo in speranza?

R. – La sofferenza può avere due sfoghi: uno è quello di chiudersi in sé e lasciarsi morire; l’altro è quello di trarre forza dal dolore e dalla sofferenza, dalla memoria di chi non c’è più – nel mio caso dei miei figli e di mio padre – per osservare la realtà, per denunciare le cose che non vanno, pensando sempre ad un progetto, a qualcosa da fare, ad una comunità che deve restare viva. Noi dobbiamo restituire questi luoghi a chi verrà dopo di noi perché questi luoghi li abbiamo avuti in eredità da coloro che sono stati qui prima di noi. A volte il dolore, la sofferenza e la rabbia ti spingono a fare qualcosa di positivo; a volte hai poca voglia di fare, però poi riparti e questo aiuta. Nel terremoto ho perso il futuro, i miei figli, e il passato, mio padre. Io vivo nel presente e quindi devo cercare di essere utile a me stesso e alla comunità nei limiti del possibile e a volte quel dolore e quella rabbia mi danno la forza per farlo.

D. – Il tuo appello a chi può fare qualcosa?

R. – Potrei fare un elenco infinito … I soldi, il lavoro, tutte cose che sappiamo e che possono essere scontate. Io dico soltanto a chi ci rappresenta in questo momento “Non dimenticateci”. Questo non significa che vogliamo l'elemosina; significa semplicemente “Stateci vicino, dateci gli strumenti per ripartire e noi ce la metteremo tutta”.








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