2015-11-15 13:58:00

Parigi: caccia ai complici dei terroristi. Almeno 129 morti


Si intensificano le ricerche dei complici dei tre commando entrati in azione venerdì sera a Parigi. Nei sobborghi della città, ritrovata la seconda automobile usata per portare a termine il massacro, costato la vita a 129 persone. In manette alcuni parenti di uno dei kamikaze che si è fatto esplodere al Bataclan, identificato grazie alle impronte digitali.  Il servizio è di Eugenio Bonanata:

Gli arresti costituiscono una normale procedura di accertamento, dicono gli investigatori. Il fatto certo è che uno dei sette kamikaze era un ventinovenne nato a Parigi da famiglia algerina, già noto alle autorità per piccoli precedenti e classificato, nel 2010, come ‘estremista radicalizzato’. Ora bisogna scoprire se si sia recato in Siria per addestrarsi ed unirsi al sedicente stato islamico. Al centro delle indagini c’è anche passaporto siriano ritrovato vicino al corpo di un terrorista che si è fatto saltare in aria allo stadio di Francia. Il documento è falso, secondo l’intelligence americana ma le per autorità di Belgrado, all’inizio di ottobre, l’uomo è passato dalla Grecia e dopo qualche giorno è arrivato in Serbia, dove ha cercato di ottenere asilo. Invece apparterrebbe ad un ferito egiziano il secondo passaporto ritrovato sul posto. A precisarlo è l’ambasciatore del Cairo a in Francia. Intanto è molto probabile che in giro ci siano altri complici dei terroristi riusciti a fuggire. Ipotesi che si rafforza dopo il ritrovamento – avvenuto stamattina in uno dei sobborghi di Parigi – della seconda auto usata dal gruppo che ha condotto gli attacchi ai ristoranti. Una pista che porta in Belgio, a Bruxelles, dove nella giornata di ieri ci sono stati 5 arresti e diverse perquisizioni. In questo quadro prosegue l’identificazione dei corpi delle vittime. Ad ora – ha detto il premier francese Vals - 103 su 129 hanno un nome. Il timore è che il bilancio possa aumentare: tra i 352 feriti, 99 sono in gravissime condizioni.

Per sapere qual è il clima che si respira in queste ore a Parigi, Eugenio Bonanata ha intervistato la nostra corrispondente dalla capitale francese, Francesca Pierantozzi:

R. – In queste ore a Parigi si vive una situazione difficile e i sentimenti sono tanti. Innanzitutto, c’è il sentimento del lutto ed è molto forte: questo senso che gli attacchi abbiano colpito un po’ tutti e siano entrati nelle case, nell’intimità di ciascuno. Le vittime sono quasi tutti giovani, giovanissimi: giovani che vanno ai concerti, giovani che bevono le birre nei tavolini fuori, anche se fa freddo. L’impressione è che ognuno conoscesse almeno una vittima o un amico della vittima. Quindi c’è veramente un senso di lutto, di sgomento, rispetto agli altri attentati di gennaio. Non sono state colpite delle categorie precise: chi fa caricature che sono considerate blasfeme oppure la comunità ebraica.Hanno colpito nel mucchio, hanno colpito i giovani. Quindi questo è qualcosa che si sente molto forte. Oggi comincia il lutto nazionale e devo dire che Parigi è, nonostante il sole bellissimo, una città molto silenziosa: le strade sono deserte. 

D. – Hai avuto modo di andare in giro e di parlare con qualcuno?

R. – Sì, io sono andata sui luoghi dell’attentato e c’era un’aria da attacco di guerra. Poi sono passata davanti al bar, alla Belle Equipe, che non è tanto lontano da qua. Conoscevo una delle vittime, tra l’altro, ed è stato molto emozionate. C’erano tanti ragazzi lì, che erano presenti e che sono sopravvissuti, che piangevano. Non riescono quasi ad allontanarsi da quel luogo. Sono giorni ancora molto vicini all’attacco e quindi l’emozione è ancora molto forte. Poi, quando si comincia a parlare, c’è questa voglia, assolutamente, di non cedere allo sconforto, alla paura, all’orrore. Questa è una cosa molto forte a Parigi. Penso anche all’identità francese. E’ il messaggio che anche il presidente, Francois Hollande, anche se molto emozionato, ha voluto far passare in ogni suo intervento in tv.

D. – Tu personalmente di cosa hai paura?

R. – E’ difficile, perché il sentimento di paura quando colpisce la tua città, che ti è familiare, non è poi così evidente. Penso che la paura si senta più da fuori, quando uno vede, perché qui alla fine la vita scorre normale: i ragazzi domani saranno a scuola e si va a fare la spesa e si cammina. Quindi in questi giorni c’è una forma di tensione, la tensione normale dell’idea di poter essere colpiti in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. C’è un po’ di tensione, ma devo dire che non ci si pensa.








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