2015-11-14 13:39:00

Betori: sinodalità e Chiesa in uscita per i cattolici italiani


Una Chiesa motivata ad essere sempre più in uscita, un metodo sinodale per affrontare le questioni più urgenti e la spinta ad essere punto di riferimento per gli uomini in cammino. Sono questi i punti che il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, sottolinea al microfono di Luca Collodi, a conclusione del quinto Convegno Nazionale della Chiesa italiana:

R. – Direi che ci hanno fatto un grande dono scegliendo questa città come luogo del Convegno e quindi portandoci anche il Santo Padre in questa visita che segna davvero la storia di questa città che si è raccolta intorno alla figura del Papa, alla persona del Papa con un affetto espresso in modo indescrivibile. Questo aprire il cuore di Firenze credo che sia il più bel dono che il Papa ci abbia fatto e che i vescovi italiani ci fanno con lui. Adesso si tratta di far crescere un’esperienza che è stata anche un’esperienza di impegno, perché non nascondo che l’accoglienza è stata anche una realtà molto impegnativa che però ha permesso di vedere la unità che c’è tra le istituzioni, qui; e questo è stato un aiuto fondamentale per il buon successo dell’evento, e dall’altra parte la generosità delle persone, perché senza il volontariato tutto questo non sarebbe stato fatto.

D. – Guardando al Convegno nazionale della Chiesa italiana, sembra che la Cei vada verso un percorso sinodale: che cosa significa questo, poi, nella realtà delle Chiese locali?

R. – Il Papa ci ha chiesto di continuare questa dimensione sinodale a tutti i livelli, ossia che occorra ascoltarsi di più, pensare di più insieme. Non che siano mancati momenti di riflessione, nella Chiesa italiana, ma forse un coinvolgimento ecclesiale in senso pieno, questo ci è mancato. Non voglio però sminuire gli appuntamenti precedenti: in fondo, tutto è nato dall’intuizione di Paolo VI e di un fiorentino, mons. Enrico Bartoletti – allora segretario generale della Cei – che vollero dare una continuità, appunto, di comunione ecclesiale al Concilio in Italia, senza cadere in forme di carattere troppo democraticista – chiamiamolo così – che fecero del male, invece, ad altre Chiese d’Europa. Sull’insegnamento di queste difficoltà che si erano manifestate in quelle Chiese, nacquero i Convegni ecclesiali in cui – io sono solito dire – l’aggettivo è più importante del sostantivo. Però, credo che questo momento in cui il Papa ci chiede, appunto, di dare anche un processo concreto alla sinodalità a tutti i livelli sia un passo avanti che però deve avere un suo contenuto, e il Papa questo contenuto ce l’ha dato con il riferimento cristologico di fondo, e i sentimenti di Cristo ci devono guidare in questa proiezione in uscita in cui sono gli altri il luogo in cui Cristo si rivela a noi e a loro. E noi dobbiamo essere soltanto delle persone che aiutano a scoprire Cristo e il suo Spirito già presenti nella Storia del mondo.

D. – Nel lavoro di questi giorni, qual è un elemento che come uomo e come pastore l’ha colpita, da riportare poi nella vita pastorale e sociale della Chiesa italiana?

R. – Questa dimensione relazionale interpersonale che si è riusciti a vivere in questo Convegno in cui l’articolazione dei lavori, in piccoli gruppi di 10 persone – che poteva sembrare, all’inizio, una modalità pesante – invece si è rivelata una modalità che ha permesso a tutti di esprimersi attraverso l’entrare in relazione da persona a persona.

D. – La sensazione, per concludere, è che sia un Convegno che non si chiude qua, a Firenze …

R. – No, no: il Convegno incomincia. Incomincia da qui e incomincia nel dar corpo con scelte concrete, e per esser concrete devono essere luogo per luogo. Non possiamo fare le scelte concrete “della Chiesa italiana”: sono le scelte concrete delle singole comunità. Lì arriva la concretezza vera. Quindi, c’è ancora tutto da “concretizzare”.








All the contents on this site are copyrighted ©.