2015-11-13 15:00:00

Hein: aprire canali legali per migranti e aiutare Stati africani


Si è chiuso ieri il vertice sulle migrazioni di Malta. Le 90 delegazioni di Ue e Africa hanno varato un fondo da 1,9 miliardi di euro per migliorare le condizioni economiche dei Paesi africani di provenienza dei migranti e uno di garanzia da 3 miliardi per sostenere la Turchia nel suo crescente impegno di accoglienza dei profughi siriani. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha comunque chiesto all’Europa maggiore impegno. Da La Valletta, Michele Luppi:

Il summit euro-africano sulle migrazioni, che si è chiuso ieri pomeriggio a La Valletta, si è giocato tutto qui, in queste due parole pronunciate dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: “Preferibilmente volontari”. La proposta europea di trovare un accordo per i rimpatri dei migranti cosiddetti economici è stata respinta al mittente, sostituita da una formulazione più blanda che lascia comunque aperta la strada a nuove forme di collaborazione. Due i documenti sottoscritti dai leader: una risoluzione in cui si ribadisce la necessità di lottare contro le cause strutturali delle migrazioni, grazie anche alla creazione di un Fondo di emergenza da 1,9 miliardi di euro, e un Piano d’azione da intraprendere entro la fine del 2016. Tra le iniziative previste, c’è  il raddoppio delle borse di studio per gli studenti africani in Europa, il lancio di un progetto pilota per la lotta ai trafficanti di esseri umani in Niger e – vera novità – la possibilità di coinvolgere personale di polizia dei Paesi africani nelle operazioni di identificazione in Europa. La giornata di ieri è stata però scossa anche da altre due notizie: l’approvazione di un piano da 3 miliardi a favore della Turchia per favorire l’accoglienza dei profughi siriani e le preoccupazioni espresse dal presidente Tusk per la sopravvivenza stessa del Trattato di Schengen.

Per un commento, Massimiliano Menichetti ha parlato con Christopher Hein, portavoce del Consiglio italiano per i Rifugiati (Cir):

R. – Adesso, bisogna dire che preparazione della Conferenza di Malta si è parlato anche di una cifra ben più elevata di sostegno agli Stati africani, si è parlato anche eventualmente di arrivare fino a 7 miliardi di euro. Non è questo, comunque, il punto più importante, quanto piuttosto cosa venga fatto con questi fondi e quale sia lo scopo di un gesto da parte dell’Unione Europea verso tutto il continente africano. Devo dire che lì abbiamo un po’ di perplessità. Quando vediamo, anche già nella preparazione, pronunciamenti del Consiglio dell’Unione Europea dove il punto cardine è il contrasto al traffico di persone e all’accettazione di accordi di riammissione, vuol dire quindi accettare con più liberalità che i propri cittadini, e anche i cittadini di altri Paesi, siano riammessi negli Stati africani e che quegli Stati collaborino a un contenimento dei flussi migratori in corso dei rifugiati.

D. – Ma questo ha solo un’accezione negativa?

R. – Di per sé, non c’è niente di male, certamente, se ci fossero le condizioni. Sappiamo molto bene, però, che queste condizioni fin qui, nella maggior parte, incluso anche il Nord Africa, non ci sono. Quindi, è tutto da vedere in che modo questi nuovi fondi veramente andranno a beneficio per l’assistenza degli Stati nella costruzione di sistemi giuridici e anche operativi di accoglienza, di protezione di queste persone, dando quindi veramente una opzione diversa ai rifugiati, ai migranti, rispetto a quella di imbarcarsi verso l’Europa.

D. – Lo chiediamo ancora una volta: quale dovrebbe essere la via concreta?

R. – La via concreta consiste in due meccanismi che devono marciare parallelamente. Uno, aprire canali di arrivo legale per rifugiati, innanzitutto, ma anche per migranti, per studenti, dal continente africano – o quando hanno bisogno di protezione, che lì non possono avere, o per rispondere anche ad esigenze del mercato del lavoro in Europa – parallelamente a un sostegno ai Paesi africani, affinché le condizioni siano migliorate al punto che la spinta, la motivazione profonda per le migrazioni, possa diminuire nel tempo.

D. – Nel frattempo, però, Paesi come la Slovenia continuano a chiudere i propri confini…

R. – Sembra un’epidemia, cominciata in Bulgaria, al confine con la Turchia, poi in Ungheria e negli altri Paesi dell’ex Jugoslavia e dei Balcani occidentali. Vorrei anche ricordare che, comunque, non con il filo spinato ma anche un Paese come la Germania, temporaneamente, ha fatto tornare i controlli alle frontiere con l’Austria e l’Austria con l’Italia.

D. – Sembra un paradosso che, da una parte, si discuta intorno a un tavolo per affrontare la questione e dall’altra ci si chiuda…

R. – Si tratta anche di Stati che fino a non tanto tempo fa hanno prodotto loro stessi dei rifugiati diretti verso l’Europa occidentale. Proprio questi Stati adesso rifiutano di entrare in una visione comune europea. Abbiamo, quindi, queste due tendenze contrastanti. E – ripeto – una via anche per questi Paesi dell’Est è di costruire un sistema per cui anche lì possano arrivare dei rifugiati e migranti in modo regolare e normale, e non solo attraverso questi flussi totalmente incontrollati e pericolosi per le persone stesse.








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