2015-11-09 13:30:00

Myanmar: al partito della Nobel Suu Kyi il 70% dei voti


In Myanmar  la Lega nazionale per la democrazia, il partito di opposizione guidato dalla premio Nobel Aung San Suu Kyi, annuncia di aver raggiunto il 70% delle preferenze alle elezioni di ieri. Il partito di governo ammette la sconfitta, mentre il Paese attende i risultati definitivi delle prime consultazioni elettorali libere dopo 25 anni. Secondo la costituzione, però, Aung San Suu Kyi non potrà ricoprire il ruolo di Presidente e per lei si profila la nomina a speaker del parlamento. Sull’importanza di questo risultato elettorale, Elvira Ragosta ha intervistato Filippo Fasulo, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale):

R. – E’ un risultato storico perché segna l’avvio di una transizione politica molto attesa per il Paese. Bisogna soltanto attendere l’esito definitivo perché il sistema uninominale maggioritario assegnerà dei seggi e sulla base dei seggi si vedrà quanto effettivamente abbia vinto il suo partito.

D. - La costituzione birmana prevede che un quarto dei seggi sia assegnato all’esercito indipendentemente dall’esito elettorale: come sarà formato dunque il nuovo parlamento?

R.- Il nuovo parlamento sarà formato da questo 25% di membri dell’esercito, un nutrito gruppo di rappresentanti del partito di Aung San Suu Kyi e bisogna vedere quanti dai partiti etnici che sono molto radicati nel territorio. Questo parlamento nel prossimo febbraio dovrà eleggere il Presidente della Birmania in un’elezione di secondo grado.

D. – Perché Aung San Suu Kyi non potrà diventare nuovo Presidente della Birmania?

R. – Aung San Suu Kyi non potrà essere candidata in virtù di una legge presente nella costituzione che vieta a chi ha parenti con passaporto straniero, in questo caso i figli, di candidarsi. Il presidente candidato dovrebbe essere verosimilmente l’attuale speaker del parlamento e Aung San Suu Kyi dovrebbe invece prendere il suo posto come speaker del parlamento.

D. – Perché la legge riserva un quarto dei seggi all’esercito?

R. – Questo deriva dalla costituzione approvata di recente ed è un tentativo dell’esercito di mantenere il suo status quo. Quindi con questa legge il 25% dei membri dell’esercito vengono nominati direttamente dall’esercito. E’ un tentativo deliberato di impedire un cambiamento politico. Se Aung Suu Kyi dovesse avere una fortissima vittoria - ed è questo uno dei motivi del contendere dell’esito dei risultati di oggi, capire quei pochi seggi che fanno la differenza - potrebbe finalmente cambiare la costituzione ed eliminare questo 25% e permettere anche a chi ha parenti stranieri di candidarsi a Presidente.

D. – Quanto è importante questo risultato dal punto di vista geopolitico per la Birmania?

R. – Questo è davvero molto importante anche se gli scenari e le alleanze che ruotano attorno alla Birmania sono piuttosto confuse. Questo è esemplificato soprattutto dal viaggio che ha fatto Aung San Suu Kyi a Pechino lo scorso giugno per rassicurare il governo di Pechino sulla tutela degli interessi cinesi in caso di sua vittoria. L’attuale Presidente Thein Sein che rappresenta i militari, in passato molto avversato dagli americani, in realtà ha portato un avvicinamento agli statunitensi. Il gioco delle alleanze quindi sulla Birmania al momento è piuttosto controverso con l’attuale presidente più vicino agli Stati Uniti che alla Cina e Aung San Suu Kyi che mantiene buone relazioni sia con Xi Jinping che con Obama.

D. – Invece riguardo alle alleanze interne, a queste elezioni ci sono stati circa 6.000 candidati divisi in 93 sigle: quanto questo peserà nella creazione dei nuovi assetti politici?

R. – Peserà soprattutto nel rapporto con i gruppi etnici che ci sono nelle campagne. Sappiamo che è in corso quasi una guerra civile, in alcuni ambiti proprio con scontri a fuoco nelle campagne. Ci sono state di recente, ed è stato uno dei migliori risultati del Presidente Thein Sein, un cessate il fuoco con 8 dei 15 gruppi attualmente in rivolta che stanno combattendo il governo. Bisogna vedere se queste 93 sigle riusciranno a lavorare con il nuovo governo oppure se rimarrà una condizione di instabilità.








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