2015-11-07 12:43:00

Premio Sciacca al card. Pell e a tre minorenni detenuti


Oggi pomeriggio, nell’Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana, si terrà la cerimonia ufficiale della 14.am edizione del Premio Internazionale “Giuseppe Sciacca”, che ogni anno conferisce riconoscimenti a chi ha saputo distinguersi nel proprio campo di lavoro o di studio. Tra i premiati dell’edizione 2015 figurano il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, altre personalità religiose, ma anche tre minorenni detenuti. Il servizio di Davide Dionisi:

Assieme al genio precoce della fotografia, Carlos Perez Naval, al cardinale George Pell, all’arcivescovo di Tirana e Primate della Chiesa ortodossa di Albania, Anastasios, al Patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, Gregorio III Laham, ci saranno anche tre ragazzi provenienti dagli Istituti di pena di Torino, Bari e Roma, oggi pomeriggio all’Urbaniana, per ritirare il Premio Sciacca. I tre minori hanno presentato lavori che hanno colpito la giuria per il valore artistico e l’anelito di speranza. Riceveranno il diploma di merito e una borsa di studio che permetterà loro di riprendere un percorso virtuoso e di lasciarsi alle spalle un passato difficile. Ma perché la scelta di questi ragazzi e quale significato assume il conferimento di un riconoscimento prestigioso a giovani che vengono da esperienza così difficili? Lo abbiamo chiesto a don Bruno Lima, presidente del Premio:

R. – Si è scelto di premiare i giovani in carico al Dipartimento della Giustizia minorile perché il Premio internazionale "Giuseppe Sciacca" ha la finalità di valorizzare i talenti giovanili. A maggior ragione, il riconoscimento a ragazzi che vivono situazioni difficili, di particolare disagio, vuole essere un segno di speranza, un incoraggiamento per la loro vita, per un recupero del tempo perduto, per un miglioramento della propria condizione di vita.

D. – In che modo un Premio come questo può spiegare all’opinione pubblica che qualsiasi ragazzo che ha avuto a che fare con la giustizia non è una persona finita?

R. – Come insegna il Santo Pontefice Giovanni Paolo II, di venerata memoria, la fede è cultura: la fede può farsi e può diventare cultura specialmente per coloro che vivono situazioni di difficoltà.

D. – Secondo lei, il carcere recupera le persona?

R. – Purtroppo, devo dire che molto spesso non è così, almeno da quello che si apprende dalle cronache. Ma potenzialmente il carcere, se gestito in un modo adeguato, potrebbe anche servire al recupero della persona umana.

Il Premio Sciacca è un riconoscimento che motiva fortemente ragazzi che stanno scontando una pena all’interno di un penitenziario. Ne è convinta Serenella Pesarin, già direttore generale del Dipartimento per la Giustizia minorile:

R. – Servono, come dice anche Papa Francesco, delle testimonianze di carne, vere, e questa è un’opportunità che si dà loro di uscire dal circuito dell’emarginazione, di uscire da quell’isolamento, per essere accolti anche in un contesto paritario dove ci sono presenti anche molte istituzioni religiose, militari, civili, ed essere riconosciuti in qualcosa che anche loro forse di se stessi non avevano avuto modo di apprendere, delle loro capacità sul versante dell’arte, del narrare… E quindi per loro è un segnale molto importante. Spesso, loro all’inizio hanno degli atteggiamenti e anche dei comportamenti provocatori perché si tratta di accoglierli e di accettarli per quello che sono. Sono storie anche di grande povertà, di grande povertà pedagogica, non solo economica, di mancanza di riferimenti, di stili. Tra l’altro, oggi la devianza sta anche attraversando ragazzi della cosiddette famiglie normali, no? Questa caduta di valori, di ideali, questo apparire, questo successo a qualunque costo, questo crescere in fretta e non avere la responsabilità perché le regole sembrano non avere più limiti... Spesso se si è abituati o si cresce in un ambiente pieno di violenza ci si educa alla violenza, come ci si educa alla pace, come ci si educa alla solidarietà, ai comportamenti prosociali. E quindi per loro è veramente significativo. E’ un riconoscimento paritario e poi serve anche per il contesto civile che spesso oscilla tra “buttiamo le chiavi” o “facciamoli uscire tutti”, non sapendo, come è stato dimostrato, che i luoghi così chiusi abbrutiscono, sono scuole di violenza. Noi dobbiamo richiederci se possiamo ricostruire una comunità partendo dal basso e partendo dai giovani. I giovani sono il vero capitale umano e noi non possiamo perderlo.








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