2015-11-04 12:59:00

Romania, le dimissioni del governo dopo il rogo in discoteca


In Romania, con il premier socialdemocratico Victor Ponta si dimette l'intero governo.  Accade in conseguenza delle proteste per il rogo alla discoteca di Bucarest, costato la vita a 32 persone. Nelle ultime ore, in  20 mila hanno manifestato a Bucarest contro l'esecutivo. Si è dimesso anche il sindaco del municipio di appartenenza della discoteca, Cristian Popescu Piedone, che ha parlato di “responsabilità morale". Della situazione sociale e del contesto politico in Romania, Fausta Speranza ha parlato con Aldo Ferrari, docente di Russia e Europa Orientale all’Università Ca’ Foscari di Venezia:

R. – La Romania, come la maggior parte dei Paesi post-comunisti, si trova in una situazione che, vista da un punto di vista occidentale, è problematica e non è brillante. Però, non è una situazione disperata o difficilissima: una parte consistente della popolazione è emigrata in cerca di lavoro, e con le sue rimesse sostiene l’economia del Paese. Ci sono molte contraddizioni e molte disuguaglianze sociali. Ma diciamo che è una situazione abbastanza simile a quella di altri Paesi post-comunisti e, sicuramente, una parte della popolazione non è soddisfatta. Di qui anche i frequenti cambi di governo tra destra e sinistra. È un Paese che segue per buona parte le dinamiche post-comuniste di altri Paesi dell’Europa orientale, e che deve risolvere ancora molti problemi.

D. – Che dire del momento politico e che dire del ruolo del Partito socialdemocratico del governo dimissionario?

R. – Il governo socialdemocratico, come spesso avviene dopo le elezioni, aveva basato molte speranze soprattutto nella lotta alla corruzione, alla disuguaglianza economica e sociale. E questa speranza è stata ampiamente disattesa: non bisogna dimenticare che il primo ministro dimissionario è sotto accusa per corruzione e per frode, quindi è uno smacco di immagine molto molto grande. Da questo punto di vista, è evidente che la società rumena era già nettamente insoddisfatta, era molto delusa dell’attuale governo dimissionario, prima di questo episodio.

D. – Quali dinamiche politiche si possono immaginare adesso, dopo le dimissioni?

R. – Questa è chiaramente una svolta notevole. Il governo è dimissionario per una ragione poi sulla quale il governo può avere delle responsabilità indirettamente. La situazione è evidentemente di profondo cambiamento. Si può pensare che si dovrà tornare ad elezioni, a meno che non si riesca a formare un governo, sempre socialdemocratico, ma con un leader differente. Ma sicuramente non facilita da parte del Paese la soluzione dei molti problemi politici ed economici che ha di fronte.

D. – Che dire della Romania nel contesto dei Paesi dell’Est europeo?

R. – E un Paese che ha risorse, superficie, popolazione, e che probabilmente ha delle potenzialità che avrebbe sicuramente potuto, e che potrebbe, sfruttare meglio. Come altri Paesi ex-comunisti, non si è ancora completamente liberato dal peso negativo del passato, ma è su un percorso positivo. Si tratta di pazientare anche da parte della popolazione rumena, evidentemente. Ma è difficile immaginare che un cambiamento di governo possa completamente modificare la situazione. È un Paese che ha dei problemi, occorrono molta pazienza, capacità e onestà da parte dei vari governi, e finora in Romania, a quanto pare, non non se ne sono viste. 

D. – Diciamo una parola sulla situazione creatasi con l’emergenza immigrazione sulla rotta balcanica…

R. – Anche in Romania è stata avvertita, ma in misura decisamente minore rispetto ad altri Paesi. La Romania, per la sua posizione geografica, è abbastanza esclusa dalla rotta prevalente che è indirizzata verso i Paesi dell’Europa settentrionale, e che quindi passa più a Occidente. Quindi, viene sentita in maniera minore se pensiamo all’Ungheria o alla Serbia. Sicuramente il problema c'è, ma in maniera meno grave. Un Paese come la Romania, purtroppo, per la sua grandissima comunità di emigrati, ha una sensibilità diversa, più aperta,  rispetto a quella di Paesi che sentono meno queste dinamiche, come quella che l’Ungheria ha dimostrato di avere.








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