2015-11-02 08:28:00

Mons. Masciarelli: la morte è un passaggio verso un mondo migliore


Il 2 novembre la Chiesa celebra la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Sull'importanza di questa ricorrenza nella vita di un cristiano, Federico Piana ha sentito mons. Michele Masciarelli, preside dell’Istituto teologico abbruzzese-molisano:

R. – Il tema della morte è un tema che riguarda la vita. E’ l’ultimo atto di vita. Anzi, l’idea di morte si accompagna dall’inizio con l’idea di vita. Dicevano i romani: “Quotidie morior”. Ogni giorno noi moriamo, la morte è inserita nella nostra vita e dunque espellere questo tema è una scelta non prudente, non savia perché l’idea di morte significa tra l’altro la consapevolezza che la vita dell’uomo si gioca proprio nella sua ultima data. E’ il sigillo finale ciò che serve ed è più decisivo per la vita di ognuno di noi.

D. - Qual è il senso della morte per un cristiano, quale dovrebbe essere il senso della morte per un cristiano?

R. - C’è una espressione propria di un cristiano, Blaise Pascal, diceva così: “L’ultimo atto della nostra vita è terribile: per bello che sia stato il resto della commedia, un po’ di terra addosso ed è finita per sempre”. Questa è l’idea di chi non crede. Però dal punto di vista semplicemente umano e che è anche l’idea del cristiano è che la nostra morte è veramente nell’ordine della fine dell’annullamento di tutto ciò che noi abbiamo fatto. Tuttavia noi non ci fermiamo alla descrizione esterna della morte. La morte non la conosce nessuno, noi guardiamo la morte degli altri, ma la morte dentro di sé mantiene segreta la sua verità per cui la morte è nell’ordine del mistero. Occorre credere per decifrare la morte. La morte è proprio il mistero. E credo che sia il mistero più denso, più cupo che c’è nella vita dell’uomo. Nella “Gaudium et spes” il Concilio, parlando della morte, dice: “L’enigma più difficile, più oscuro, più impenetrabile della vita dell’uomo, rispetto al quale enigma, l’uomo ha un senso di ribrezzo”. Però, ecco il cristiano, poi si riprende, dice: “Io sono più grande della morte che mi colpirà. Sento che dentro di me c’è un istinto di risurrezione”. Questo testo è stupendo, il numero 18 della “Gaudium et spes,” perché dice che Dio ha posto in noi creandoci un seme di risurrezione, un istinto di risurrezione che noi credenti percepiamo. Non siamo fatti per la morte per sempre, la morte è un passaggio: l’idea della morte come porta e come parto. Come porta: cioè è un passaggio, un valico, doloroso, fa piangere chi resta al di qua di quel varco e poi però quel varco, se noi crediamo, è lo sforamento verso un altro mondo, un’altra vita. E il parto. Nel pensiero antico, gli antichi scrittori cristiani parlavano della morte come parto ed è un’idea che hanno ripreso i teologi latinoamericani. La morte è un parto, cioè l’espulsione da un piccolo mondo: come il parto è l’espulsione di un bambino dal seno piccolo, oscuro della madre, per l’immissione dentro un mondo più grande ed è così la morte. Noi usciamo da un piccolo mondo, tutto sommato qual è il mondo degli uomini, e andiamo nell’altro mondo. Questa bellissima espressione della nostra cultura anche popolare, l’ “altro mondo”, altro in più sensi. Nel senso che è un mondo che non conosciamo ancora ma significa anche un mondo diverso e noi crediamo che sarà migliore di questo. La Scrittura dice che nell’altro mondo non ci sarà più il potere della morte, Dio asciugherà per sempre il volto di ogni uomo che ha pianto in questa vita. Lo renderà allegro, felice per sempre.








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