La Relazione finale del Sinodo dedica in modo particolare tre punti, 84, 85 e 86, alla questione dei divorziati risposati: tutti approvati con la maggioranza qualificata dei due terzi, anche se l’85 per un solo voto. Il cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha osservato che a questo proposito la parola chiave è “discernimento”: sull’accesso alla Comunione sono stati dati dei criteri fondamentali per discernere le diverse situazioni.
Divorziati risposati devono essere più integrati nelle comunità cristiane
“I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente
– afferma il punto 84 della Relazione finale - devono essere più integrati nelle comunità
cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica
dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto
sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere
una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito
Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione
può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle
diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale,
educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi
scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola
come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia
nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la
cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più
importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento
della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi,
la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità”.
San Giovanni Paolo II invita al discernimento
Il punto 85 cita la Familiaris Consortio di San Giovanni
Paolo II, dove Papa Wojtyla ha offerto "un criterio complessivo, che rimane la base
per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della
verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra
quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati
del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio
canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione
in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza
che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido»
(FC, 84).
È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del
discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo.
In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione
e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati
verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati
tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali
conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli;
quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera
riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata
a nessuno”.
Il Catechismo: la responsabilità non è la medesima in tutti i casi
“Inoltre – si legge ancora nella Relazione finale
- non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità
di un’azione possono essere sminuite o annullate» (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti.
Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio
sulla «imputabilità soggettiva» (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione
del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà
ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario
riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è
la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della
coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni.
Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti
i casi”.
Discernimento nella verità e nella carità
Infine, il punto 86 ricorda che “il percorso di accompagnamento
e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione
davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione
di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione
alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che
nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle
esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga,
vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa
e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio
di giungere ad una risposta più perfetta ad essa”.
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