“Trasformare la cultura della violenza” che segna oggi tante regioni del mondo afflitte da tensioni e conflitti alimentati dal fondamentalismo religioso “in una cultura di pace e incontro”: è questa “la missione specifica delle religioni”, anche se non sempre nella storia esse sono state all’altezza di questo difficile compito. E’ il concetto di fondo espresso da padre Indunil Janakaratne Kodithuwakku Kankanamalage, sottosegretario del Pontificio Consiglio Dialogo Interreligoso, nell’intervento di apertura al Convegno “La Via della Seta e le Religioni”, ospitato il 20 ottobre dal padiglione KIP di Milano Expo.
Imparare dalla storia della Via della Seta per affrontare gli attuali conflitti
Organizzato dal "Confucius Institute-Università Cattolica
del Sacro Cuore" (Uscc), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Archeologia
e Storia dell’arte dello stesso ateneo e dall’"Institute of World Religions" dell’Accademia
cinese di Scienze Sociali, il Convegno ha visto riuniti studiosi ed esperti per un’analisi
storica del ruolo delle religioni negli antichi imperi della Via della Seta. Alcuni
di questi Paesi, oggi come in passato, sono diventati il teatro di guerre e terrorismo
a sfondo religioso che minacciano la stabilità e la sicurezza regionale e internazionale.
La storia della Via della Seta è piena di profeti di pace e non violenza, come di
guerrafondai e di autocrati feroci ed è dunque da questa storia – ha affermato padre
Kodithuwakku nel suo intervento – che si possono trarre insegnamenti per il presente.
La polarizzazione della diversità alimentata da chi strumentalizza la religione
L’attuale sfida del rapporto tra religione e violenza,
ha evidenziato padre Kodithuwakku, è legata a concezioni polarizzate della “diversità”
– sia essa culturale, etnica, politica, sessuale, economica – alimentate da alcuni
gruppi che usano la religione per giustificare la loro violenza contro il “diverso”,
disumanizzandolo. In questo contesto, emergono due possibili ruoli per la religione:
quello di “costruttrice di ponti” e quello di “costruttrice di muri” nelle relazioni
umane. Come “forza impegnata per il bene e l’amore nel mondo”, ha sottolineato il
sottosegretario del dicastero vaticano, essa può quindi essere la chiave per affermare
una nuova cultura di pace, basata sulla non violenza, la tolleranza, la comprensione
reciproca, la solidarietà e la soluzione pacifica dei conflitti. Incoraggiando vittime
e carnefici ad affrontare le ferite passate e promuovendo il perdono, la riconciliazione
e la giustizia riparativa, la religione può contribuire a risanare i rapporti umani.
L’esempio di imperatori illuminati del passato
Padre Kodithuwakku ha quindi ricordato gli esempi
di alcuni imperatori asiatici illuminati dei secoli passati, che hanno saputo evitare
guerre sanguinose con il dialogo e la diplomazia, promuovere la non violenza, la tolleranza
religiosa, la convivenza pacifica delle religioni e l’incontro delle culture. Di qui,
in conclusione, la sottolineatura che le religioni hanno un ruolo chiave da svolgere
nella promozione della cultura della pace e dell’incontro: “La cultura della violenza
che affligge oggi tante parti del mondo, ha concluso, “è il risultato del fallimento
delle religioni” e del tradimento dei loro valori e principi. (L.Z.)
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