2015-10-22 13:54:00

Africa e migranti in un convegno alla Radio Vaticana


L’immigrazione come fenomeno culturale che riguarda non solo l’Africa, ma l’intera umanità a prescindere dalle cause economiche e politiche. Questa una delle chiavi dell’incontro promosso ieri dal “Centro di Riflessione Africa 2000”, formato da alcuni giornalisti africani della Radio Vaticana con l’obiettivo di raccontare il continente dal punto di vista di chi ci è nato. Per l’occasione presentato il volume del collega del programmo portoghese Filomeno Lopes: “Dalla mediocrità all’eccellenza. Riflessioni filosofiche di un immigrante africano” e il documentario “Anch’io ho un nome e un cognome”. Il servizio di Michele Raviart:

Da un lato il “chiasso” dei Paesi che accolgono, con un incessante elenco del numero dei morti, dall’altro il “silenzio” dei Paesi di partenza, quasi rassegnati all’ineluttabilità delle morti in mare. Il rischio, quando si parla di immigrazione dall’Africa, è quello di dimenticare che dietro i numeri ci sono persone, con le loro storie e le loro aspirazioni. Professor Roberto Mancini dell’Università di Macerata:

Le migrazioni non sono solo un fenomeno transitorio o legato a particolari cause economiche, politiche e culturali. Quello che è veramente contingente e che andrebbe eliminato è il lato di necessità. Sono cioè migrazioni coattive, non sono scelte! L’essere umano è migrante come tale, ma questo fa di ogni persona un viaggio vivente. Sapete, nel Vangelo non c’è propriamente l’‘altro’, perché l’altro vuol dire uno che conta meno di me; e dove c’è l’altro vuol dire che c’è l’Io al primo posto. Nel Vangelo l’altro si chiama  il fratello e la sorella.

A contribuire alla spersonalizzazione non sono solo le cronache, ma anche il fatto ,ad esempio, che ad ogni migrante viene assegnato un numero nel Centri di accoglienza. In una cultura come quella africana, in cui il nome è legato all’essenza stessa della persona, tanto che alcuni emigranti, prima della traversata che potrebbe costare loro la vita, cercano in tutti i modi di non essere dimenticati spiega l’antropologa Cinzia D’Auria:

Molto spesso gli emigranti, quando partono, mettono il loro nome e cognome in una bottiglia. Un messaggio che è stato trovato in una bottiglia, lasciata da un eritreo, racconta che lui fa parte di una famiglia e che lascia questo biglietto nella bottiglia perché non ha tanto paura di morire, ma ha paura di cadere nell’oblio: ha paura di non essere più ricordato e che il suo nome venga completamente annullato.

Le necessità contingenti dell’emigrazione possono essere superate attraverso un nuovo modello culturale, in cui i giovani assumano piena consapevolezza delle potenzialità dei loro Paesi. Mons. Gabriel Charles Palmer Buckle, arcivescovo di Accra:

Stiamo cercando di fare tutto a livello di educazione, di formazione e della pubblica istruzione. Stiamo cercando anche di creare un corpo politico composto da giovani politici che abbiano un’altra prospettiva su cosa voglia dire la politica in Africa. Si dice ‘necessity is the mother of invention’, cioè la necessità deve portare alla creatività.

Il punto che si prefiggono alcuni vescovi locali, è quello di creare un “uomo nuovo africano”, che sia antropologicamente in grado di superare la cultura dominante, spiega mons. Barthelemey Adoukonou, segretario del Pontifico consiglio della Cultura:

La cultura senza Dio, contro Dio è una cultura che cerca di distruggere l’uomo in quanto immagine e somiglianza di Dio. Noi che crediamo diciamo no! Proponiamo un’altra cultura, un altro progetto di educazione, che verrà promesso da tutte le Chiese, dai musulmani e da tutti in Africa. Questo farà sì che gli africani faranno crescere il continente e potranno così rimanere nella loro casa, rimanendo in apertura con tutti gli altri.








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