2015-10-21 14:11:00

Nuove violenze in Terra Santa: iniziative Onu e Ue per la pace


Giornata diplomatica cruciale oggi per tentare di interrompere la lunga scia di sangue in Terra Santa. Oltre 50 finora le vittime a cui si aggiunge l'ultimo episodio in mattinata a Ramallah, dove una soldatessa israeliana è stata pugnalata e il suo assalitore palestinese ucciso da colpi d'arma da fuoco. La diplomazia intanto è al lavoro. Incontrando il segretario dell'Onu Ban Ki-moon, il presidente palestinese Mahmud Abbas si è detto disponibile alle trattative di pace, ha ribadito la necessità di una protezione internazionale palestinese, ma è tornato ad accusare Israele di voler mutare lo status quo sulla Spianata delle Moschee. Stasera Ban riferirà in videoconferenza al Consiglio di sicurezza dell'Onu prima di volare in Giordania. Si attende anche l'esito dell'incontro in Germania tra il premier israeliano Benjamyn Netanyahu e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma quale può essere il ruolo di questi attori internazionali in un momento così delicato e chi conta veramente? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali e Storia di Israele Moderno, all'Università di Firenze:

R. – I grossi soggetti che possono agire sono essenzialmente due: l’Onu inteso come organizzazione e inteso anche come possibilità che gli americani cambino atteggiamento in sede di Consiglio di sicurezza, cioè smettano di porre il veto a risoluzioni che loro considerano contro Israele; il secondo soggetto è in particolare la Germania sia perché la Germania ha un forte legame con Israele, che però è diventato più critico negli ultimi anni, sia perché se anche la Germania si muove in un certo senso il resto d’Europa, che è già critico verso Israele, la seguirebbe senza problemi.

D. – Una parola sulla Giordania: il fatto che la Spianata delle Moschee venga gestita da una fondazione islamica sotto l’egida della Giordania ha un significato in questo momento?

R. – Sì perché la famiglia dei Re di Giordania era la famiglia che una volta custodiva i luoghi santi di Mecca e Medina e quindi ha con Gerusalemme un rapporto particolarmente forte non solo dovuto ai 20 anni in cui hanno controllato la città vecchia. E anche perché la Giordania, non dimentichiamolo, ha una popolazione che in gran parte è costituita da palestinesi; è inoltre il miglior vicino che Israele possa avere, è un Paese moderato, quindi è suo compito agire da moderatore.

D. – A complicare la situazione oggi queste affermazioni di Netanyahu che dice che Hitler all’epoca non voleva sterminare gli ebrei ma solo espellerli e fu poi invece convinto a farlo dal Mufti di Gerusalemme: perché ora queste affermazioni, che ruolo hanno, cosa significano?

R. – Sono affermazioni particolarmente gravi anche perché lui è figlio di uno storico, di destra ma di uno storico. Comunque il fatto che l’abbia detto e di fronte a un pubblico molto qualificato, cioè l’organizzazione mondiale sionista che era a convegno, è semplicemente sintomo di un nervosismo che ormai trabocca e gli fa dire cose che non hanno senso.

D. – Netanyahu potrebbe fare un passo indietro a questo punto dopo tutti questi confronti e questi colloqui?

R. – Tutto quello che sta avvenendo è volto a fare pressioni su Netanyahu e sul governo israeliano. Però è anche vero che la coalizione di governo che Netanyahu ha messo insieme deliberatamente è molto più a destra di lui: cioè, lui non ha spazio né nel governo né nella Knesset per fare iniziative di tipo diverso, quindi in un certo senso è in un vicolo cieco e non sa come uscirne né sul fronte interno né sul fronte internazionale.

D. – E’ anche vero che anche Mahmud Abbas ha di fronte a sé uno scenario, una popolazione palestinese estremamente frammentata che non lo segue…

R. – E’ vero, Mahmud Abbas non è seguito dalla base anche perché la base è fatta di giovanissimi palestinesi che dopo 48 anni di occupazione non ascoltano più gli adulti. Però è anche vera un’altra cosa, che il presidente palestinese non rischia di essere ucciso se cambia politica, al massimo si dimette e farà il pensionato. Mentre Netanyahu, e la politica israeliana lo ha dimostrato, è a rischio di qualcuno molto più estremista.








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