2015-10-20 14:31:00

P. Ossorio: Chiesa sia aperta, pronta a ricevere tutti


Per una riflessione sui lavori fin qui svolti al sinodo dei vescovi sulla famiglia. Il nostro inviato, Paolo Ondarza, ha intervistato uno dei Padri sinodali: padre Javier Álvarez Ossorio, superiore generale della Congregazione dei Sacri Cuori:

R.  – Siamo verso la fine del Sinodo e questi giorni sono veramente impegnativi perché cerchiamo conclusioni pratiche. Le diversità di opinioni si fanno sentire, ma allo stesso tempo c’è una vera preoccupazione pastorale di tutti i vescovi che sono presenti. Io spero che possiamo non rimanere nel nostro solito linguaggio, un po’ clericale, lontano dalla realtà del nostro popolo di Dio. Speriamo di poter presentare a Papa Francesco alcune porte aperte, perché lui possa andare avanti nel cammino di avvicinamento della Chiesa a tutti in tante parti del mondo. Io spero anche che si possano mettere in funzione dinamiche nei diversi posti del mondo – nelle diverse aree, continenti, conferenze episcopali – perché tante volte le soluzioni ai problemi concreti devono essere trovate a livello locale.

D. – Dinamiche per velocizzare la risoluzione di questioni pratiche senza entrare nell’ambito della Dottrina?

R. – Io penso che non vi sia un problema di Dottrina, quando parliamo per esempio dell’accesso ai Sacramenti, nel mostrare una Chiesa aperta che riceve tutti. Dobbiamo pensare a Gesù stesso, come Lui faceva, come Lui ha offerto la sua salvezza a tutti. Io penso che abbiamo la libertà di cambiare disciplina senza cambiare per nulla la Dottrina.

D. – E’ questo che vuol dire decentralizzare il ministero petrino?

R. – E’ uno degli aspetti, sì. Sì, io penso che decentralizzare voglia dire che i vescovi possano trovare per i loro fedeli soluzioni pratiche, concrete per facilitare il vissuto del Vangelo dove loro stanno. Non dobbiamo aspettare soltanto soluzioni universali per la disciplina, che vengano dal Papa e dalla Santa Sede: anche i vescovi hanno il “potere pastorale”, se possiamo dire così, per trovare soluzioni regionali particolari.

D. – Lei faceva riferimento alla questione dei Sacramenti: questo legame tra il Sacramento nuziale e il significato della Comunione sacramentale –  di cui molti hanno parlato in aula e di cui parla il magistero come esemplificazione della donazione totale di Cristo alla Chiesa – non rischia di essere alterato dal momento in cui viene concessa la comunione ai divorziati risposati?

R. – Io penso di no. Tutti i Sacramenti camminano, puntano, mirano a un compimento escatologico: l’amore di Dio, il compimento nel Regno di Dio…  Siamo in cammino. Che ci sia una diversità di pratiche mentre siamo in cammino vuol dire che la Chiesa è un popolo di Dio che cammina nella storia… Allora, chiedere al Sacramento del matrimonio che sia una realizzazione perfetta e storica, adesso, di questo ideale escatologico dell’amore di Cristo per la Chiesa è troppo. Perché noi partecipiamo all’Eucaristia, abbiamo il Battesimo, io ho l’ordine sacerdotale… Ma chi di noi vive questo in pienezza? Nessuno, siamo tutti peccatori. Allora, io non vedo nessun problema che ci siano diverse pratiche nella Chiesa, sapendo che tutti abbiamo lo stesso sguardo su Gesù e sull’amore di Dio che è sempre molto più grande di noi e delle nostre realizzazioni storiche.

D. – E’ stato ribadito il clima di grande fraternità, di collegialità in questo Sinodo. Non si può negare, come è stato anche affermato da molti, che vi sia una divergenza su alcuni punti tra cui proprio questo di cui stiamo parlando. Si riuscirà a trovare una sintesi?

R. – E’ vero che la comunione esiste… Io capisco la preoccupazione pastorale di tanti che vogliono cambiare e tanti altri che non vogliono cambiare. Penso che forse arrivare a una sintesi qui non sia necessario. Quello che sarebbe buono è che questo Sinodo permetta un cammino un po’ più approfondito del popolo di Dio. Noi non pensiamo che il Sinodo sia un punto di arrivo, ma può essere la tappa di un cammino che deve continuare sempre.








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