2015-10-20 11:00:00

Migranti bloccati a migliaia tra Croazia e Slovenia


Prosegue come un fiume in piena, valicando i confini europei, il flusso migratorio da Paesi dell’Asia e dell’Africa, colpiti da guerre, persecuzioni, calamità e povertà. Un’emergenza che non trova risposte politiche efficaci mentre la macchina degli aiuti non tiene il passo con i bisogni di migliaia di persone, che ogni giorno fuggono dalle loro case per un avvenire migliore. Da qui l'appello di Amnesty International per i profughi bloccati ieri al confine tra Slovenia e Croazia, che ha richiuso e poi riaperto la frontiera con la Serbia, da dove anche oggi stanno arrivando migliaia di nuovi profughi, diretti in Austria e Slovenia.  Roberta Gisotti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce in Italia dell'organismo umanitario:

R. – Quello che abbiamo verificato è una situazione oltre che beffarda, persino crudele. Un gruppo numeroso di rifugiati, comprese donne, bambini e anche neonati, è stato intrappolato per molto tempo in una terra di nessuno, al confine tra Croazia e Slovenia, con un meccanismo grottesco: la polizia slovena su un lato che erige filo spinato e l’altra croata alle spalle dei rifugiati che fa lo stesso, con il risultato di 1.800 persone che si sono trovate la notte scorsa all’addiaccio, senza assistenza, senza il minimo riparo e che, piano piano, hanno cominciato ad affluire all’interno della Slovenia, dando priorità a donne e bambini. Ma non sono questi i provvedimenti – piccole gocce di umanità – che possono risolvere un problema di dimensioni molto ampie.

D. – Frontiere parzialmente chiuse, poi riaperte, poi richiuse, poi riaperte. Possibile che l’Europa non si sia ancora dotata di un protocollo per fare fronte, almeno sul piano umanitario, a questa emergenza?

R. – Questo è impressionante. Tra l’altro la crisi globale dei rifugiati, in corso nel mondo, tocca i Paesi dell’Unione Europea solo in piccola parte. Pensiamo che in Libano, dalla sola Siria, sono entrati 1 milione e 200 mila rifugiati, mentre qui in Europa ci sono scene di panico per alcune centinaia di migliaia di persone, che dovrebbero essere distribuite in maniera armoniosa e coordinata tra 28 Paesi, che hanno sicuramente più possibilità del Libano. Invece, assistiamo ad un gioco al ribasso, quello che ci hanno detto le stesse guardie di frontiera in Croazia. Si prende, ad esempio il Paese che si sta comportando peggio – in questo caso l’Ungheria – e si dice: “Facciamolo anche noi”. E’ un gioco al massacro sulla pelle di persone inermi, che hanno sfidato la guerra, sono sopravvissute alla tortura, per ritrovarsi di fronte filo spinato, gas lacrimogeni, cani, soldati armati e, in un caso, come abbiamo visto in Bulgaria, c’è stata anche una vittima.

D. – Come media non dobbiamo certamente stancarci di rilanciare le immagini e le testimonianze di queste situazioni…

R. – E’ utile farlo, perché mostrano un’umanità - sebbene estremamente sofferente, dolente e abbandonata - che da tanti viene vista come un fatto di numeri o, peggio, come un problema, come una minaccia. L’Europa non può cedere al panico, l’Europa ha il dovere di fare di più. E’ un continente di Paesi che stanno ancora dignitosamente bene, con alcune eccezioni ovviamente, ma è un continente di 500 milioni di persone, che può accogliere tante persone in più rispetto a quelle che sono state accolte. E per farlo deve darsi un programma, deve darsi un metodo, deve darsi priorità, e la prima di queste è che ci sia un sistema di percorsi legali e sicuri per entrare in Europa; in secondo luogo, che le persone che arrivano in Europa siano trattate dignitosamente e abbiano accesso a procedure di asilo; possano muoversi all’interno dei Paesi, superando i confini senza filo spinato, senza cani, senza fucili, senza questo atteggiamento militaresco, senza questo gioco di erigere filo spinato davanti e dietro, quando devono attraversare una frontiera. Se l’Europa non farà questo, l’atteggiamento di cinismo mostrato in questi mesi sarà purtroppo ricordato per anni e anni a venire.








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