2015-10-19 15:34:00

Cina, il calo del Pil non mette in affanno le Borse


La Cina in primo piano sulla scena internazionale: in calo la crescita del Prodotto interno lordo, ferma al 6,9% nel terzo trimestre del 2015, la più bassa dal 2009, quale conseguenza, allora, della crisi finanziaria globale. A rischio – secondo gli analisti più severi –l’obiettivo prefissato di una crescita quest’anno del 7%. Il dato diffuso dall’Ufficio centrale di statistica cinese si offre però a valutazioni diverse, tanto che le Borse europee hanno aperto al rialzo e quella di Tokyo ha contenuto la perdita a -0,8%. Roberta Gisotti ha intervistato Romeo Orlandi, docente di Economia dell’Asia orientale all’Università di Bologna:

D. – Prof. Orlandi, si allontana o no lo scoppio della bolla economica cinese, paventato nei mesi scorsi?

R. – Questi dati sembrerebbero dire che si allontana, perché sono dati complessivamente positivi. Esiste poi un aspetto comunicazionale che gioca sul fatto che dal 7% dell’obiettivo prefissato si passi al 6,9%: quindi, si retrocede. Ma in realtà, quanto il Pil aveva mostrato nei primi trimestri dell’anno, lascia presagire che l’obiettivo del 7% di crescita sarà ufficialmente raggiunto. In più, sembrano aumentare i consumi, le Borse – come è stato detto – reagiscono in maniera composta. Sembrerebbero buone notizie per la Cina. Rimane da stabilire se siano buone notizie per il resto del mondo e rimane anche da capire se questi dati siano veri, perché molti economisti, molti studiosi li mettono anche in dubbio.

D. – Ma ufficialmente, a cosa si deve questa correzione in positivo dell’economia cinese?

R. – Si deve alla composizione della crescita del Pil che, per una volta, sembra privilegiare i consumi rispetto agli investimenti e dunque anche alla produzione industriale. La Cina sta cercando di trasformarsi in un mercato di consumo interno più sviluppato di quanto abbia fatto finora e sembra che questo stia riuscendo. In realtà, il fatto che la Cina cresca soltanto – e ci vogliono le virgolette all’avverbio “soltanto” – del 6,9%, può essere un fattore di stabilità e anche di crescita più lungimirante, per la Cina. Insomma, la Cina ha deciso da tempo che vuole smentire un modello di sviluppo con la “ossessione della crescita”. Questa espressione è utilizzata anche dal segretario generale del Partito comunista, Xi Jinping, l’“ossessione della crescita”, che aveva alimentato gli anni precedenti. Quindi, si cerca una crescita più qualificata, basata sui consumi e non su questo interminabile record di produzione di vetro, cemento, acciaio, calzature, abbigliamento che ha caratterizzato la Cina come “fabbrica del mondo”. Se la Cina smentisce questa connotazione e aggiunge qualità e consumo al proprio Pil, sicuramente ha fatto un passo avanti. Un Paese non può crescere sempre del 10-11%, come ha fatto negli ultimi 35 anni; rimane da capire se rimarrà, questa percentuale e se i dati non siano – come si teme – artificialmente gonfiati.

D. – Quali riforme economiche sono più urgenti per il governo di Pechino per stabilizzare positivamente la sua economia in uno scenario di capitalismo?

R. – Dovrebbe essere – sempre come dice Xi Jinping – un Paese in cui il ruolo del mercato sia decisivo e non semplicemente rappresentativo. Bisognerebbe procedere ad alcune riforme, non necessariamente di stampo politico e che comunque non sono all’ordine del giorno. Bisognerebbe, ad esempio, rendere più aperto e trasparente il mercato dei capitali, la canalizzazione del risparmio attraverso le banche, il ruolo delle società dello Stato, che sembrano intoccabili. Il contributo delle società pubbliche alla formazione del Pil sta decrescendo a vantaggio, ovviamente, dell’imprenditoria privata che si dimostra più abile. Però, il loro peso politico è sempre gigantesco, per cui sembrano essere intoccabili. Il segretario generale, Xi Jinping, sta cercando di fare delle riforme ma questo, ovviamente, lo porta in rotta di collisione con gli ambienti più conservatori che si annidano naturalmente anche dentro il Partito comunista, anzi soprattutto dentro il Partito comunista. E si tratta di riforme soprattutto economiche, ma che non hanno facilità di essere implementate senza attriti.

D. – Ecco, riforme economiche, ma forse anche riforme sociali attendono?

R. – Sì, queste attendono, perché sono probabilmente non nell’agenda della Cina, sono più speranze che l’Occidente coltiva: che la crescita economica possa trainare la democrazia politica in Cina. Questa è stata un’illusione a lungo coltivata negli ambienti occidentali, che finora si è dimostrata per quello che è, cioè un’illusione.








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