2015-10-14 13:28:00

Gerusalemme blindata. Mons Lazzarotto: superare odio reciproco


All’indomani della “giornata della rabbia” palestinese, che ha provocato in tutto 4 morti e una ventina di feriti, mentre la tensione resta alta in tutto il Medio oriente, il governo Netanyahu interviene con durezza. Chiusi i quartieri arabi di Gerusalemme, revocati ai terroristi i diritti di residenza permanente e confiscate le proprietà. In più si è deciso di non restituire alle famiglie i corpi dei responsabili degli attacchi e di non ricostruire le loro case distrutte.”Sanzioni collettive”, come le definisce l’Anp, che accrescono la preoccupazione dell’Onu e degli Stati Uniti che si preparano ad una missione di mediazione. Preoccupazione, ma anche un invito a non esagerare nei toni facendosi prendere dall’emozione per quanto accade, li esprime al microfono di Gabriella Ceraso mons. Giuseppe Lazzarotto, nunzio in Israele e delegato apostolico per la Palestina:

R. – Quello che sta succedendo rischia di compromettere seriamente gli sforzi di tante persone, che sono sinceramente – e senza neanche fare troppo clamore, diciamo – impegnate sul terreno a costruire la via del dialogo, della pace, della fraternità, della convivenza pacifica.

D. – Perché ci sono queste persone e nessuno ne parla?

R. – Ci sono e sono moltissime. Però, purtroppo, la loro voce non viene ascoltata e non è sempre udibile. Purtroppo, quando accadano questi avvenimenti, si rompe un equilibrio che è poi difficile ricostruire.

D. – Su che cosa si deve lavorare?

R. – Sulla ricostruzione laddove c’è qualcosa di rotto o laddove c’è, invece, rinforzare il modo con cui gli uni guardano agli altri e abbattere il muro di ostilità e di odio.

D. – Oggi che giornata è a Gerusalemme? Com’è il volto della città? Si parla di una città blindata, di una città in cui crescono le barriere…

R. – Evidentemente, ci sono molte forze dell’ordine in giro, ci sono delle difficoltà nei movimenti… Però, non è che siamo sotto assedio. Farsi prendere dalle emozioni è facile, ma poi si rischia di perdere una visione oggettiva di quello che succede e soprattutto di quello che si può fare. Ma ripeto: se non ci si impegna tutti insieme a combattere la causa di fondo, che è proprio questa persistente sfiducia e ostilità degli uni nei confronti degli altri, se non si arriva a sanare questa causa iniziale, non si otterranno effetti che possano durare nel tempo.

D. – Questo si fa anche attraverso il dialogo?

R. – Soprattutto attraverso il dialogo e attraverso i gesti. Il Papa ce lo chiede continuamente, lo chiede ai politici, la pace ha bisogno di gesti coraggiosi. E questi sono i gesti coraggiosi: avere il coraggio di superare quella che può essere l’ostilità iniziale o anche la sfiducia o la difficoltà del dialogo. Ma bisogna arrivarci! Perché – ripeto – tutte le altre misure, pur utili e magari necessarie, non risolvono il problema di fondo.

D. – Lei ha la sensazione che a livello di comunità internazionale si stia o non si stia facilitando questo ritorno al dialogo?

R. – Noi stiamo aspettando per vedere… Si sente di iniziative prese dagli uni o dagli altri, però per il momento non vediamo niente di concreto.

D. – E la percezione della gente qual è?

R. – Le persone sono preoccupate! C’è, direi, quasi un senso di impotenza…

D. – Si può fare qualcosa in momenti come questi? Non sono i primi momenti, non è la prima volta…

R. – Le nostre chiese e i responsabili delle comunità cristiane sono in mezzo alla gente, giorno e notte sono lì. Questa è l'azione che svolgono, promuovere questo stile di vita: è il compito della Chiesa essere strumenti di dialogo.








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