“Cristiani e musulmani insieme”, questo è il titolo del Convegno organizzato dai missionari d’Africa e dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica, ieri a Roma. Mons. Claude Rault, vescovo a Laghouat in Algeria, ha reso la sua testimonianza presentando il suo libro “Il deserto è la mia cattedrale”. Alessandro Filippelli lo ha intervistato:
R. – Je crois que nous pouvons collaborer de toutes nos forces…
Credo che possiamo collaborare con tutte le nostre
forze, cristiani e musulmani, per il meglio di questa umanità plurale. E’ quello che
cerchiamo di fare ed è ciò che anche i nostri partner musulmani ci aiutano a fare
e che possiamo fare insieme. Credo sia sempre possibile e sia importante per il futuro
della nostra umanità che le buone volontà cristiane e musulmane, e di altri, possano
mettere insieme le loro forze per fermare la guerra, per un mondo più pacifico, per
un rispetto più grande delle persone. E noi siamo fortemente impegnati in questo senso,
con questa dimensione, che io chiamo “verticale”, di relazione con Dio che ci dona
la forza per costruire, con il suo aiuto, questo mondo più fraterno e umano.
D. – La diocesi di Laghouat nel Sahara, in Algeria, ha circa tre milioni e mezzo di abitanti, ma sono pochi i cristiani. Qual è la sua missione come vescovo?
R. – Pour moi comme évêque, je me situe d’abord en tant que chrétien….
Come vescovo e prima di tutto come cristiano sono
anche inviato al mondo musulmano: ho lavorato tanti anni con i musulmani e da vescovo
adesso cerco di unire tutte queste 12 comunità che sono presenti nelle diocesi. Sono
un vescovo “nomade” e dico spesso che il vescovado è il luogo della mia assenza. La
sede episcopale del vescovo è il sedile di una macchina: devo andare a visitare le
comunità e si tratta di lunghe distanze, non posso chiedere ai membri delle diocesi
di venire da me nel mio ufficio. Allo stesso tempo, questo mi permette di incontrare
regolarmente algerini e musulmani che sono amici di queste comunità.
D. – Gli anni Novanta sono stati anni difficili per l’Algeria. Adesso qual è la differenza tra quell'epoca e quello che si vive oggi?
R. – C’est une très grande difference…
E’ una differenza molto grande. Il popolo algerino
ha molto sofferto per dieci anni, ci sono state quasi 150 mila vittime del terrorismo
e della violenza, quindi è stato necessario che questo popolo e queste famiglie potessero
pensare a guarire. Penso che viviamo attualmente una pace che non ha niente a che
vedere con questi anni che abbiamo vissuto. Credo sia un po’ per questo motivo che
l’Algeria non voglia farsi coinvolgere dalla guerra che si vive nei Paesi vicini e
scelga sempre come priorità il dialogo politico, con chiunque sia. Personalmente,
mi hanno chiesto a volte se in questo Paese avessi paura per la mia sicurezza… Non
penso mai alla mia sicurezza.
D. – Quanto è importante la condivisione del progetto Le Ribat es-Salam, ovvero il Vincolo della pace?
R. – Je pense que ce que le frère Christian disait…
Penso a che frère Christian de Chergé diceva: “Si
trova l’altro solo al livello in cui lo si cerca”. Dunque, se cerchiamo l’altro al
suo livello spirituale questo può essere simbolicamente anche un appello ai credenti
del mondo a cercarsi più a livello della loro umanità, che è un livello spirituale.
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