2015-10-10 13:33:00

Turchia: Ankara, strage durante manifestazione filo-curda


Attentato ad Ankara, in Turchia, poco prima dell’avvio della prima manifestazione pacifista filo-curda indetta dalle opposizioni, dall’inizio del conflitto con i guerriglieri del Pkk. Quasi 90 i morti e 120 i feriti. Il Presidente Erdogan ha parlato di “un attacco odioso contro l’unità del Paese”. Ancora ignota la matrice. I media ipotizzano un attentato kamikaze, avvenuto in vista delle elezioni del primo novembre e mentre la Turchia è impegnata nella lotta contro l’Is in Siria. Eugenio Bonanata ha chiesto un commento ad Alberto Rosselli, esperto di area mediorientale e anatolica:

R. – Il massacro che si è verificato rientra in una strategia di destabilizzazione anche del processo democratico all’interno della Turchia. Ricordiamo che non tutta la popolazione turca è favorevole a uno scontro diretto con la minoranza curda che poi è una minoranza molto relativa. Diciamo che è un problema nel problema, nel senso che abbiamo già una crisi mediorientale molto forte, che riguarda la Siria, e questa crisi interna turca non fa che aggravare queste tensioni. In Siria, infatti, è presente una forte comunità curda.

D. – Chi ha interesse a destabilizzare la Turchia?

R. – L’Is ha, secondo me, qualche interesse a far sì che questa frizione tra curdi e turchi permanga. Ricordiamo, inoltre, che c’è un elemento nazionalista-fondamentalista che si rifà in qualche modo alla teoria panturanica e panturanista, che rigetta completamente il riconoscimento del Kurdistan. Che poi la società civile turca cerchi di esprimersi in qualche modo, come in occasione di una manifestazione così importante come quella che drammaticamente si è conclusa oggi, è un segnale positivo. Questo significa che una parte della società turca è favorevole non soltanto a una pacificazione con il Kurdistan e a un riconoscimento del popolo curdo, ma anche a una nuova politica non nazionalisticamente esacerbata.

D. – Con quale spirito il Paese si prepara ad affrontare la campagna elettorale?

R. – Sicuramente, non vorrei essere un cittadino turco: nel senso che il Paese è fortemente scosso. C'è da dire che la Turchia è un grande Paese con due anime: l’anima metropolitana, delle città, che è più propensa in qualche modo ad avanzare ipotesi di pacificazione e di cambio di rotta, mentre quello che è il grande ventre della Turchia, l’entroterra, l’altopiano anatolico, in questo periodo è fortemente influenzato dalle politiche estremiste islamiche. Non a caso, in questi ultimi sette-otto anni, lo stesso governo turco ha dovuto allontanarsi dalle vecchie posizioni laiche atatürkiste.

D. – Come valutare l’arresto del direttore del quotidiano “Zaman”, da sempre critico nei confronti del presidente Erdogan?

R. – L’arresto di un giornalista o di chi esprime opinioni riguardo a un determinato argomento è sintomo di illiberalità: su questo mi sembra che non ci sia nulla da aggiungere.

D. – Che tipo di conseguenze potranno esserci adesso, rispetto a quello che sta succedendo in Siria?

R. – Potrebbero essere in qualche modo vanificate le conseguenze negative, il contraccolpo negativo, da una presa di coscienza maggiore da parte del governo turco. Noi non sappiamo chi siano stati i mandanti: per il momento non si sa chi sia stato a effettuare l’attentato ma non credo nella casualità. Cioè, è una situazione che segnerà in qualche modo il cammino da qui alle prossime elezioni in Turchia e sicuramente susciterà dei contraccolpi anche in Siria, in seno alla comunità curda.








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