2015-10-07 15:31:00

Sentenza Ue su dati personali negli Usa. Soro: decisione importante


I cittadini europei potranno chiedere di vietare ai colossi del web di conservare negli Usa i dati dei propri iscritti. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale ha accolto la richiesta di un giovane austriaco di 28 anni, al centro di una battaglia giudiziaria contro Facebook avviata nel 2001. Secondo la sentenza è possibile il trasferimento dei dati solo quando il Paese ne garantisce un livello di protezione adeguato, nel rispetto del diritto fondamentale della vita privata. In questo modo è stata dichiarato invalido il “safe harbour”, il cosiddetto "approdo sicuro", l'accordo tra Stati Uniti e Unione Europea che attualmente consente alle aziende americane di manipolare e spostare i dati personali dei loro utenti europei su server americani. Al microfono di Francesca Di Folco chiarisce la rilevanza della sentenza, Antonello Soro, presidente del Garante per la privacy:

R. – Il grado di sorveglianza da parte degli organismi governativi negli Stati Uniti, con riferimento ai dati contenuti nelle varie banche dati degli operatori commerciali e in particolare dei giganti dell’economia digitale, ma non solo, è distante rispetto alle regole che disciplinano la materia della protezione dei dati personali, la privacy in Europa. Per cui questa decisione è molto importante, perché costringe la Commissione Europea e gli Stati Uniti a ricercare un nuovo accordo coerente con il livello più alto di protezione dei dati personali che in tutto il mondo viene invocato. Gli stessi Stati Uniti sono in una fase di riforma del loro ordinamento all’indomani del data-gate. Il presidente Obama ha già ottenuto una importante riforma da parte del Congresso e l’Assemblea dell’Onu ha voluto invitare tutti i Paesi ad alzare il livello di protezione dei dati personali, che nella società digitale rappresentano un elemento primario nella tutela delle persone.

D. – Eppure solo nel ’98 Stati Uniti e Unione Europea hanno firmato l’accordo di “Approdo sicuro”, che consentiva alle aziende americane tale trasbordo di dati. Una sorta di autocertificazione con la quale le aziende Usa garantivano sulla tutela del trattamento dei dati europei…

R. – Un ordinamento più permissivo negli Stati Uniti ha consentito alle aziende del digitale americane di guadagnare spazi nel mercato globale, che le aziende europee non potevano conquistare. Quindi il problema si pone da una parte sul terreno dei rapporti economici e dall’altro su quello dei diritti. In questo momento la Corte di Giustizia europea ha affermato con molta chiarezza che la tutela dei diritti fondamentali non può essere subalterna agli interessi dell’economia. Quindi spinge con forza gli organi di governo europei a pretendere l’adeguamento dell’ordinamento degli Stati Uniti, per avere garanzie uguali a quelle che pretendiamo dalle aziende europee.

D. – La Corte Europea ha rivelato che il “Safe harbour” è applicabile alle imprese americane e non alle autorità pubbliche degli Stati Uniti, di fatto considerando l’accesso ai contenuti delle comunicazioni elettroniche una compromissione del diritto al rispetto della vita privata…

R. – L’accesso alle informazioni da parte delle autorità governative degli Stati Uniti in questi anni hanno consentito la raccolta massiva di informazioni non soltanto dei cittadini americani, ma ancora di più di quelle dei cittadini europei al di fuori di qualunque tutela giurisdizionale. Ora, anche negli Stati Uniti, sta evolvendo l’ordinamento interno e credo che questi siano i presupposti per arrivare ad un nuovo trattato che rimetta in circolo liberamente le informazioni, assicurando la garanzia dei cittadini.

D. – Cosa accadrà ora in concreto?

R. – Penso che sia urgente che la Commissione Europea e gli Stati Uniti promuovano “Safe harbour 2”, cioè un nuovo trattato che tenga conto dei paletti imposti dalla Corte di Giustizia europea.








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