2015-10-01 14:16:00

Card. Vegliò: misericordia per i migranti, sono persone non pacchi


Ognuno ha il diritto a emigrare, “ma c’è anche il diritto a non emigrare”, a rimanere in Patria: e per chi è costretto a farlo da guerre e sfruttamenti, è necessario aprire un panorama di accoglienza e integrazione. Lo ha sottolineato il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, intervenuto nella Sala Stampa della Santa Sede alla presentazione del Messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il 17 gennaio 2016. Con lui, mons. Joseph Kalathiparambil, segretario del medesimo dicastero, che ha invitato a comprendere meglio “le cause che producono le migrazioni forzate”. Il servizio di Giada Aquilino:

La presenza oggi di tante persone in movimento, migranti, profughi, quanti sono in fuga da guerre e sfruttamenti, “interpella i singoli e le collettività” e richiede “attenzione e sensibilità” nei confronti di questa situazione globale. Il cardinale Antonio Maria Vegliò invita la Chiesa e i cristiani a seguire la “risposta del Vangelo della misericordia”, nell’anno giubilare che sta per iniziare. Prendendo in esame il Messaggio di Papa Francesco, il porporato mette in risalto “la questione dell’attuale crisi umanitaria nell’ambito della migrazione”, che esiste non soltanto in Europa ma in tutto il mondo: nel Vecchio Continente, fa notare, sono arrivate nel 2015 circa 600 mila persone via mare. Vanno quindi conosciute meglio “le cause che producono” tali flussi, insieme “con le conseguenze che ne derivano nei luoghi di arrivo”. Per le persone che emigrano, mette in luce il Pontefice, c’è anche una “questione d’identità”; il cardinale Vegliò ricorda che ognuno ha il diritto a emigrare, “ma c'è anche il diritto a non emigrare”. E chi è costretto a lasciare la terra d’origine ha il diritto a conservare la propria identità e al contempo “ha il dovere di rispettare” quella del Paese che l’accoglie:

“Si parla, infatti, dell’integrazione e non certo dell’assimilazione, perché anche questo è un difetto della natura umana: vogliamo che gli altri siano come noi e non è giusto! Perché ognuno di noi è differente dall’altro, con il diritto di essere se stesso e con il dovere di rispettare l’identità dell’altro”.

Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti cita i dati dell’accoglienza di quest’anno in Italia, sulla base di cifre dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni, l'Oim: oltre 130 mila persone finora, ma aumenteranno in tutta Europa:

“Ci sono muri che li fermano. Ma tanto questa massa di gente è un po’ come l’acqua: si infila sempre da qualche parte. L’acqua non si può fermare, c’è sempre un posto dove si infila e dove passa. Però si parla di persone, non di cose o di pacchi. Quindi si tratta di dare, come cristiani, animo e affetto a queste persone”.

Il fenomeno, prosegue, non va ridotto però solo “alle statistiche o ai numeri”, soprattutto nella “questione dell’accoglienza”. La Chiesa e le sue comunità locali, “in quanto ambito più prossimo ai migranti e rifugiati”, si fanno carico “concretamente” di tale aspetto. Sulla scia dell’invito del Papa ad aprire le porte di parrocchie, comunità religiose, monasteri e santuari di tutta Europa ad una famiglia di profughi, a dare testimonianza dell’impegno della Chiesa è stato in conferenza stampa mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei, che ha fatto il quadro delle persone accolte nelle strutture ecclesiali:

“Quest’anno sono già diventate 22 mila: quindi significa che una persona su quattro, che è stata accolta in Italia, è stata accolta in una struttura ecclesiale, una casa religiosa o una parrocchia o un centro di accoglienza legato alla Caritas o a Migrantes. E già oggi – a pochi giorni dall’appello del Papa – ci sono 2.500 persone che sono accolte nelle parrocchie italiane. Altre centinaia di parrocchie hanno già dato la loro disponibilità in tutta Italia, dal Nord al Sud”.

Il cardinale Vegliò, parlando della “solidarietà verso il prossimo”, della “cultura dell’incontro” ma anche del “diritto di ciascuno a vivere con dignità, rimanendo nella propria Patria”, evidenziati dal Pontefice nel Messaggio, ha ribadito che l’aiuto al prossimo non conosce differenze, è verso tutti. Il porporato ha pure annunciato come dal 25 al 27 ottobre prossimi si svolgerà il Pellegrinaggio mondiale dei rom, che saranno anche ricevuti dal Papa, in ricordo della visita 50 anni fa di Paolo VI alle comunità di Pomezia; quindi ha spiegato l’impegno del proprio dicastero:

“Stiamo lavorando su un documento che tocca tutte le Conferenze episcopali e non soltanto alcune. Stiamo lavorando insieme alla Segreteria di Stato, perché naturalmente il documento avrà anche aspetti che toccano le autorità civili. E’ un documento che cerca di dare una soluzione pratica e concreta a quello che il Santo Padre ha chiesto”.

In tale prospettiva, ha spiegato mons. Joseph Kalathiparambil, è importante “accogliere con generosità” chi arriva:

“Ma il passo più importante da compiere è quello che porta ad affrontare le cause che producono le migrazioni forzate. È indispensabile eliminare i problemi alla radice e, così come ci suggerisce anche il Santo Padre, ‘questo processo dovrebbe includere, nel suo primo livello, la necessità di aiutare i Paesi da cui partono migranti e profughi’”.

Un primo passo è conoscere tali realtà. Come sta facendo l’Unione internazionale superiore generali, che – lo ha spiegato suor Elisabetta Flick, intervenuta in Sala Stampa – sta facendo partire per la Sicilia due equipe di religiose, eritree, etiopi, congolesi e indiane: scenderanno in ‘strada’, tra i migranti che giungono sulle coste dell’isola, per comprenderli nelle loro lingue e accoglierli. Un’altra faccia della cultura dell’incontro.








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