2015-09-30 13:51:00

Curare dal conflitto: bimbi dalla Siria a Roma grazie all'Unrwa


Sono a Roma, e in attesa di cure e ricoveri, i primi piccoli rifugiati palestinesi provenienti da Damasco e dai campi profughi siriani. Affette da gravi patologie, le cinque bambine verranno curate all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e al Policlinico Gemelli grazie all’aiuto di Unrwa Italia e dell’Associazione Kim onlus, con il contributo del Ministero della Salute, di quello della Difesa e della Farnesina. Servizio di Francesca Sabatinelli:

C’è un modo per rompere il ghiaccio: ‘darsi il cinque’, o mimare con le mani un cuore, e subito dopo scoppiano le risate. Ruba, nove anni, è irrefrenabile, ti guarda con occhietti vispi e allegri, è sulla sedia a rotelle perché affetta da spina bifida, ma è come se volasse, da pochi giorni a Roma ha già imparato a contare in italiano, fino a dieci, e, di sicuro, di qui ai prossimi tre mesi avrà imparato molto di più. Con lei ci sono Safaa e Ilaf, di 11 e 10 anni, soffrono di valvulopatia, una malattia delle valvole cardiache e Seba, la più piccola, cinque anni, malata di tumore. La più grande, Raghad, 13 anni è, con il suo corpo, la testimone diretta degli orrori della guerra: ha perso le gambe quando una bomba ha colpito la sua casa, le schegge le hanno lesionato in modo irreparabile anche la laringe, e parla a fatica. Sono loro, queste cinque piccole, il primo gruppo dei 13 minori che l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi è riuscita, e riuscirà, a far uscire dalla Siria in fiamme per le cure  in Italia, al Bambin Gesù e al Policlinico Gemelli, con un permesso di tre mesi, estendibile in caso di necessità. Le bimbe, accompagnate da uno dei genitori, per una di loro l’unico, ospitate dall’Associazione Kim onlus, arrivano dai campi rifugiati di Saida Zenab, o di Yarmouk, alle porte di Damasco, dove le condizioni di vita sono disumane, al limite della sopravvivenza, senza elettricità, né acqua, né cibo, ne cure mediche. Molti di loro sono fuggiti per via dei bombardamenti continui e ora sono sfollati a Damasco. E’ Omar a parlare:

(parole in arabo)
“Vengo dalla Siria sono qui per far curare mia figlia, la nostra vita nel campo profughi è difficile, la maggior parte di noi ha perso la casa, chi ha un po’ di soldi riesce ad affittarne un’altra, ma la vita è difficile. Nessuno ci sta aiutando, c’è l’Unrwa che fa qualcosa per noi. Mi ricordo, un giorno, è stato davvero brutto, ero a lavoro, c’è stato un bombardamento, siamo scappati dal campo. E abbiamo visto morire una nostra vicina e i suoi figli, mia figlia è rimasta scioccata”.

Ruba, Safaa, Ilaf, Seba, Raghad: sono le piccole vittime di una crudele e devastante guerra che però non le ferma dal voler ritornare a casa “perché noi – dicono – non abbiamo paura”:

(parole in arabo)
“Sto bene qui, ma mi piace il mio Paese
"Sto bene qui, ma mi mancano i miei fratelli”

“Non ho paura di niente, siamo abituati, non ho paura”

Gli occhi di Mouna non nascondono la sofferenza, tantomeno la  preoccupazione per l’operazione che sua figlia dovrà sostenere, ma il suo sorriso è pieno di gratitudine:

(parole in arabo)
“Da 5 anni siamo fuori casa, mia figlia è malata di cuore, nessun medico l’ha seguita. Deve fare un importante intervento chirurgico, è il secondo. Mancano i medici specialisti. Voglio ringraziare tutti qui in Italia per l’aiuto che ci stanno dando … davvero”

Mancano medici, mancano farmaci, gli ospedali non possono ricoverare e i malati, bambini e adulti, dopo le prime cure vengono rimandati a casa, anche in caso di gravissime patologie o ferite da guerra. Marina Calvino, segretario generale di Unrwa Italia:

R. – Il sistema sanitario in Siria al momento è al collasso, al quinto anno di guerra, quindi questi bambini non avevano l’opportunità di avere cure in gran parte salvavita. Ci siamo impegnati a cercare delle modalità in Italia per poter venire incontro a queste esigenze di cure, e abbiamo trovato porte aperte nelle nostre istituzioni, in particolare nel Ministero della salute, che sostiene le cure dei minori che vengono da contesti di guerra. E così, da lì abbiamo iniziato con i nostri amici dell’Associazione Kim, che è un’associazione meravigliosa che dedica il suo lavoro quotidiano proprio ad assistere i bambini e i loro genitori nel percorso delle cure, garantendo loro una casa accogliente dove sostare, dove stare, dove vivere in attesa delle operazioni, del post-operatorio o delle cure riabilitative dopo questi interventi importanti. Insieme abbiamo ricevuto il sostegno sia del ministero della Salute sia di quello della Difesa, perché abbiamo chiesto di poter trasportare questi bambini in Italia attraverso voli aerei regolari che vengono utilizzati dall’esercito per le missioni umanitarie in ambito Onu in Libano (Unifil ndr). E poi la Farnesina, e soprattutto l’ambasciata a Beirut, sono state eccezionali nell’aiutarci a gestire la questione dei visti.

D. – In quanto tempo siete riusciti a mettere insieme questa operazione di assistenza, di supporto?

R. -  E’ veramente stato un parto! Lavorare questi nove mesi nella speranza di poter realizzare quanto prima questa operazione. Sapevamo che i genitori erano impazienti, che i bambini scalpitavano per poter avere questa opportunità, ed è stata una corsa contro il tempo. Appena arrivati qua, dopo il viaggio da Beirut, ci siamo resi conto che già non vedevamo l’ora di pensare agli altri otto che aspettano il nostro supporto. Sono storie incredibili, quelle che stanno alle spalle di questi genitori e di questi bambini, che stiamo scoprendo giorno dopo giorno, e ogni volta è un brivido ed è un’emozione, quella di conoscerli così da vicino. Il contesto di guerra ci spinge ad essere ancora più efficaci, ancora più incisivi. Sapere che 460 mila rifugiati palestinesi in Siria sono intrappolati in una guerra che non è la loro, sfollati, rifugiati due volte visto che lo sono già di status, dalla nascita, ci scatena una grande emozione questo essere riusciti a fare questo piccolo gesto. Ci rende una gioia incredibile vedere questi bambini che sono straordinari, allegri, dinamici, hanno già imparato – come avrete sentito – in una settimana a contare in italiano, bambini intelligentissimi, ci rende veramente fieri vedere come la nostra agenzia faccia un lavoro quotidiano eccellente e protegge le persone in contesti così difficili.








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